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Sant’Andrea dell’Asinara

Di seguito ospitiamo integralmente un contributo di Maurizio Serra relativo al Cenobio di Sant’Andrea, appassionato cultore della storia e titolare del sito “chiesecampestri.it
Le immagini a corredo di questo articolo sono state liberamente concesse dall’autore Maurizio Serra.

UN MONASTERO PERDUTO

Non tutti sanno che la Cala di Sant’Andrea, sulla costa orientale dell’Asinara, mutua la denominazione da un antichissimo monastero benedettino che prosperava in quel sito, dedicato all’apostolo fratello di Simon Pietro e pescatore come lui.

A circa 500 metri dalla spiaggia di Cala Sant’Andrea, che è interdetta al fine di tutelare particolari specie animali e vegetali, si trova il rudere di un fabbricato racchiuso sul lato est, da un’ampia recinzione in muratura e composto da quattro vani, il cui intonaco quasi totalmente deteriorato, mostra i cantonetti di granito che formano le pareti.

Il caseggiato era un’azienda agropastorale e secondo i più, prese luogo sui resti del monastero, o quanto meno venne realizzato, in data imprecisata, con il materiale del cenobio; alcuni inserti in blocchetti di cemento, sono indizio di un suo utilizzo non troppo lontano nel tempo.

Non si conosce il periodo di fondazione del monastero, citato per la prima volta, come priorato, nel 1341.

Alcuni ritengono che sin dal 1216, all’epoca del pontificato di Onorio III, fosse pertinenza camaldolese affiliata all’abbazia benedettina di San Mamiliano nell’isola di Monte Cristo – che è parte dell’arcipelago toscano – ma in realtà tale abbazia, dopo vari tentativi intrapresi proprio a opera di quel Papa, fu finalmente assoggettata all’ordine di San Romualdo solamente intorno alla metà del Duecento (1).

Inoltre la prima e unica attestazione di appartenenza di Sant’Andrea a Monte Cristo, la si ritrova in una bolla di Papa Alessandro VI, che risale addirittura al primo dicembre del 1500 in cui si riportano le numerose chiese affiliate, tra le quali in Sardegna, “Sancte Marie de Scala, Sancti Elie, Sancti Gregorii, Sancte Andree de insula Asinaria, Sancte Marie Magdalene de flumine Savo, Sancti Mamiliani de Sumassi” (2).

È pensabile comunque che Sant’Andrea fosse di antichissima origine e donata già in tempi remoti a Monte Cristo, come potrebbero indirettamente suggerire alcuni documenti, il primo dei quali del 3 aprile 1002, con cui il giudice cagliaritano Ugone di Massa elargiva alcuni beni all’abbazia dell’isola toscana (3).
Gli storici attuali ritengono comunque che tale documento non sia attendibile, almeno nella datazione, per alcune incongruenze geografiche e temporali.

Particolare del fabbricato Ph: chiesecampesri.it

Particolare del fabbricato Ph: chiesecampesri.it

Il censimento fiscale del XIV secolo (1341/50)

Le Rationes decimarum Regni Sardinia, una sorta di censimento fiscale di metà XIV secolo riguardante le imposte dovute alla Santa Sede dagli enti religiosi locali, c’informano che negli anni 1341 e 1342, il priore di Sant’Andrea fu un tale Nicola, riportato come Nicolao de Moroncho (scheda chiesecampestri.it 105 e Nicholao de Maronho (scheda 760), mentre nel 1346 (scheda 2075), la guida del centro era affidata a domino Bartholomeo de Solerio priore de Asinari et Flumine sancto (4), per cui il monastero dell’Asinara era associato a quello di Fiume Santo, che dovette trovarsi nell’omonima località non distante dalla cittadina di Porto Torres; e perciò, scorrendo l’elenco delle chiese appartenenti a Monte Cristo nel 1500, la Sancte Marie de Magdalene de flumine Savo sarebbe riconducibile a quella riportata nelle Rationes trecentesche, le cui schede comunque non accennano all’istituzione di appartenenza dei due cenobi. Tuttavia nelle stesse Rationes, alla scheda 1228, che si riferisce alle imposte per gli anni 1346/1350, leggiamo: “domino fratre Hibaldo abbate Montis Christi pro prioratu de Scala” (5) e riprendendo la solita bolla di Alessandro VI, notiamo che la prima chiesa sarda nella lista è proprio Sancte Marie de Scala, per cui è avvalorata ancor di più l’idea che alla metà del Trecento, anche Sant’Andrea e Santa Maria Maddalena fossero soggette a Monte Cristo. Santa Maria Iscala apparteneva all’abbazia dell’isoletta toscana, almeno dagli inizi del XII secolo, come attesta una bolla di papa Gelasio datata 1 Ottobre 1118, con la quale vengono posti sotto la protezione apostolica i monasteri pertinenti a Monte Cristo, tra cui In Sardinia: ecclesiam Sancte Marie de Scala, Sancti Helie, et Sancti Gregorii (6)

PIETRO D’ARAGONA ed il Portolano di GIOVANNI da UZZANO (1341 – 1440)

Il rudere di S.Andrea Ph: chiesecampesri.it

Il rudere di S.Andrea Ph: chiesecampesri.it

Pochi anni dopo, il monastero di Sant’Andrea  è oggetto di attenzione da parte di Pietro d’Aragona, che nel 1354 dona del vestiario e una barca per raggiungere la Sardegna, ai suoi religiosi, definiti heremitam in ecclesiae beati Andree insule de Linayra (7)

Troviamo ulteriore testimonianza nel portolano di Giovanni da Uzzano, redatto nel 1440, in cui vengono menzionati “buoni homini”  che immaginiamo essere i religiosi del nostro monastero: “E llo golfo che rimane da maestro al porto dell’Acinarra è una chiesa dove si ànno buoni huomini, a qui a buona aqua e buono porto, c’à nome Calla di Santo Bres, e sta la chiesa per maestro lungi un miglio (8). Uzzano ci fornisce un’indicazione geografica riguardo l’ubicazione della chiesa, che secondo la sua narrazione sarebbe stata tra poco più di 1,5 e poco meno di 2 km circa, a nord-ovest rispetto alla cala, mentre i ruderi di cui abbiamo accennato, si trovano 500 metri a sud-ovest. In verità, la distanza calcolata da Uzzano sembra eccessiva, perché come vedremo oltre, Albini sembrerebbe collocare la chiesetta nell’area della Cala (9).

 

Il rudere di S.Andrea Ph: chiesecampesri.it

Il rudere di S.Andrea

PAPA LEONE X ed il Pirata BARBAROSSA (1513 – 1546)

La bolla del 1500, lascia supporre che il monastero fosse ancora attivo agli albori del XVI secolo, ma in un documento datato 4 luglio 1513, col quale papa Leone X conferma i privilegi alla congregazione dell’abbazia camaldolese di San Michele di Muriano, così leggiamo: … “Et monasterium de Monte-christo in insula prope Sardiniam cum suis annexis; cui unimus monasterium Sancte Trinitatis in Sardinia; ecclesiam Sancti Petri in Scano, Sancti Nicolai de Trulla, Sancte Marie & Sancte Eugenie in Samanar, Sancti Michaelis e Sancti Laurentii in Vanari, Sancte Marie e Sancti Johannis in Altasar, Sancte Marie in Contra, Sancti Johannis e Simonis in Salvener, Sancti Pauli in Controli, Santi Pauli in Olim (10).

Tutte queste chiese, alcune tuttora esistenti, appartenevano da secoli ai Camaldolesi e tra esse non compare Sant’Andrea sull’Asinara citata appena 13 anni prima: tale mancanza, potrebbe dunque essere un probabile indizio della sua decadenza.

Le cronache narrano dell’insicurezza dell’isolatta e, in generale delle coste sarde a causa delle ripetute incursioni musulmane e, molto probabilmente, questa fu la situazione che pose fine all’insediamento religioso; in particolare nel 1546, i Saraceni capeggiati dal pirata Barbarossa, fecero dell’Asinara una strategica base per le proprie scorrerie (11).

La chiesetta rimase dunque un semplice luogo di culto per i pochi abitanti dell’isola e con atto del 31 agosto 1571 l’arcivescovo Turritano Martino Martinez de Villar unì Sancti Andreae in Insula de Asinaria sive Cornicularia, alla Mensa capitolare diocesana al pari di altre numerose chiese campestri, per utilizzarne i proventi nel sostentamento dei canonici indigenti (12)

Giovan Francesco Fara (1580)

Il Fara intorno al 1580, descrivendo l’isola dell’Asinara menzionava la chiesetta (sacellum Sancto Andreae), non accennava al centro religioso che fu e riferiva la rovina di torri e fortilizi e la scomparsa di molti centri abitati (Fuit olim multis oppidis(13), che immaginiamo dovettero un tempo essere sorti grazie all’influenza dello stesso monastero, anche se più che paesini, dovettero essere semplici agglomerati agropastorali, al pari delle cussorge della Nurra e della Gallura.

Il rudere di S.Andrea Ph: chiesecampesri.it

Il rudere di S.Andrea

L’arcivescovo turritano Giuseppe SICARDO (1703)

L’11 e 12 maggio 1703, l’arcivescovo turritano Giuseppe Sicardo, sbarcò sull’Asinara, cresimò 15 residenti e, nei pressi della Torre di Trabuccato, pose la prima pietra di quella che sarebbe stata una chiesa dedicata alla Nostra Signora dei naviganti, a San Giuseppe e a Sant’Agostino mettendovi alcune reliquie e piantando una croce. Alla visita, seguì una relazione sullo stato delle anime dell’Asinara in cui si legge: … “esta Isla vulgarmente llamada la Sinara moran muchas familias y que en ella no se halla ninguna Iglesia para poderse celebrar el santo sacrificio de la Missa …” (17).

Si appuntava dunque la necessità di avere un luogo di culto in cui amministrare i sacramenti e anche un camposanto, per assicurare decorose sepolture.

Il proposito dell’arcivescovo venne ostacolato dai canonici del capitolo turritano, evidentemente preoccupati di rinunciare alle decime versate loro dagli abitanti dell’Asinara e tali religiosi addussero il pretesto che il Santissimo Sacramento avrebbe corso il pericolo di profanazione e che nell’isola non era mai stata costruita una chiesa; monsignor Sicardo li bollò come “frivolos pretestos

E riguardo le chiese, citò il Vico il quale ricordava l’esistenza dell’antico monastero, di cui a suo tempo, rimanevano le rovine (18).
Comunque, né l’arcivescovo, né altri del suo periodo, hanno dato notizie sullo stato della chiesa di Sant’ Andrea.

Il rudere di S.Andrea Ph: chiesecampesri.it

Il rudere di S.Andrea Ph: chiesecampesri.it

Il contrammiraglio Della Regia Marina Giuseppe Albini (1843)

Nel 1843, il contro-ammiraglio della Regia Marina, Giuseppe Albini, pubblica una guida sulle coste della Sardegna e al capitolo sull’Asinara riporta: …
CALA S. ANDREA.
Al nord, due gomene circa di distanza di capo S. Andrea, havvi la sunnotata cala, stretta circa mezza gomena e lunga due scarse, alquanto curva e con una profondità di 9 in 10 piedi d’acqua, ottimo sito per le barche che fanno piccolo traffico nella costa ed al sicuro di qualunque tempo. Havvi una sorgente d’acqua, quantità di legna, una riunione di alcune case ed una piccola cappella (19)
 
.

Anche da questa descrizione capiamo il motivo della scelta del sito da parte dei monaci proprio in quell’area, provvisto di un favorevole attracco e fornito di acqua potabile e legname.

Francesco VICO, Salvatore VIDAL e Giorgio ALEO (XVII secolo)

Il Vico, nel 1639  riguardo le pertinenze sarde un tempo possedute da Monte Cristo, scrisse: Sancti Andreae Insulae Asinariae, donde hasta hoy permanece mucha y muy considerable parte de la iglesia que allì hubo se reconosce el sitiio y forma del monasterio, y acueductos de las fuentes (14); lo seguono il Vidal nel 1641 (Asinara non nisi Monasterium Sancti Andreae, Ordinis Camalulensium) (15) e l’Aleo che relazionava nel 1684: “Otro monasterio de monjes camaldulenses, que se llamava de San Andres havia en la Isla Assinara, donde asta al presente permanece buena parte dela iglesia, y ben las ruynas, y cimientos del monasterio” (16).
Dunque, nel XVII secolo vi era il ricordo del monastero camaldolese, testimoniato dai suoi ruderi, con una chiesa evidentemente abbandonata e, in buona parte, ancora in piedi

Vittorio ANGIUS  (1833)

Nello stesso periodo lo scolopio Vittorio Angius, ricordava l’esistenza passata del monastero e di piccoli centri abitati, evidentemente abbandonati per via delle continue incursioni piratesche e pur menzionando le cappelle che sorsero in seguito alla colonizzazione dell’isola intrapresa in maniera più decisa a partire dagli inizi del Settecento, non forniva notizie su quella di Sant’Andrea.

“Nel medio evo quest’isola era ancora popolata e vi avea un monistero di camaldolesi, detto di s. Andrea, dipendente dal monistero di Monte-Cristo, il cui sito vien nototato dal nome della cala che trovasi a scirocco di cala di Scombro (20)”.

Terminano qui le vicende storiche di una piccola casa religiosa, i cui monaci, come fu in molte isole, assolsero un ruolo fondamentale per la sicurezza dei naviganti, occupandosi dei fuochi di segnalazione costiera; oggi nel sito vi è il rudere di un caseggiato agropastorale che secondo i più prese luogo su quello che un tempo fu il monastero benedettino di Sant’Andrea dell’Asinara, appartenuto all’abbazia di San Mamiliano di Monte Cristo e per diversi secoli pertinenza dell’ordine camaldolese.

                                                                                                                                                                                                                        Maurizio Serra

Il rudere di S.Andrea interno. Ph: chiesecampesri.it

Il rudere di S.Andrea interno. Ph: chiesecampesri.it


note:
1) V. Schirru, da pag. 49
2) G. B. Mittarelli e A. Costadoni, tomo VII, colonne 256, 257 dell’appendice. La bolla completa è pubblicata e tradotta da N. Giglio, pag. 186. Vedi anche V. Schirru, pag. 50, nota 190
3) P. Tola, tomo I, parte I, diplomi e carte del secolo undecimo, doc. I, pag. 147
4) P. Sella: scheda 105, pag. 13; scheda 760, pag. 83; scheda 2075, pag. 188
5) P. Sella: scheda 1228, pag. 134. Nel documento, il priorato di Scala viene erroneamente riportato in diocesi di Ploaghe, mentre si trovava in diocesi turritana, nell’attuale agro di Osilo e la sua chiesa, in stile romanico, è un rudere recentemente restaurato
6) P. Tola, tomo I, parte I, diplomi e carte del secolo dodicesimo, doc. XXVI, pag. 198. Vedi anche V. Schirru, pag. 50 e doc. VIII, da pag. 81
7) A. Castellaccio, pag. 31. Vedi anche V. Schirru, op. cit. pag. 50, nota 193
8) Motzo, pag. 154. Da notare che ne “Il Compasso de Navegare” redatto nel 1296  e dal quale Giovanni da Uzzano avrebbe attinto, non vengono menzionate chiese sull’Asinara, ma ad ogni modo la relazione di Giovanni da Uzzano è, in generale più ricca di dettagli.
9) Il miglio terrestre corrisponde a 1609 metri e quello marino a 1852 metri
10) G. B. Mittarelli e A. Costadoni, tomo VII, colonna 315 dell’appendice. Vedi anche V. Schirru, pag. 52, che riporta la data 2 luglio
11) Nino Giglio, pag. 57
12) P. Tola, tomo II, diplomi e carte del secolo XVI, doc. XXXI, pag. 213
13) Giovan Francesco Fara Sardiniae Chorografiam Liber I, pag. 4
14) F. de Vico, VI parte, pag. 154. L’autore fa riferimento a privilegi duecenteschi di Onorio III in favore dell’abbazia di Monte  Cristo, confermati da Alessandro VI nella nota bolla del 1500, ma in nessun archivio sono stati rinvenuti tali atti
15) S. Vitalem, pag. 43
16) J. Aleo, tomo I, foglio 997
17) M. Porcu Gaias, da pag. 69
18) A. Virdis, pagg. 242, 243
19) G. Albini, pag. 45
20) V. Angius, pag. 104 chiesecampestri.it

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Bibliografia

Giuseppe Albini, Guida del piloto nel littorale dell’isola di Sardegna. Risorsa scaricabile online
Jorge Aleo, Successos generales de la Isla y Reyno de Serdeña (manoscritto consultabile in Biblioteca Universitaria di Cagliari)
Vittorio Angius, Città e villaggi della Sardegna dell’Ottocento, a cura di Luciano Carta: Abbasanta-Guspini. Risorsa scaricabile online
Angelo Castellaccio, Il periodo medioevale, in “Asinaria, storia, natura, mare e tutela dell’ambiente, a cura di M. Brigaglia
Nino Giglio, L’Asinara
Antonio G. Giordo, Asinara: vicende storiche del suo popolamento
Ioannis Francisci Farae, Sardiniae Chorografiam. Risorsa scaricabile online
Johanne Benedicto Mittarelli e Anselmo Costadoni, Annales Camaldulenses Ordinis Sancti Benedicti. Risorsa consultabile online
Bacchisio Raimondo Motzo, La Sardegna nel Compasso de Navegare del secolo XIII, in “Archivio Storico Sardo XX, vol. 3-4”. Risorsa scaricabile online
Marisa Porcu Gaias, Sullo stato delle anime nel 1703, in “L’Isola dell’Asinara” a cura di M. Gutirrez, A. Mattone, F. Valsecchi
Valeria Schirru, Le pergamene camaldolesi relative alla Sardegna nell’Archivio di Stato di Firenze, in “Archivio Storico Sardo LX” Risorsa scaricabile on line
Pietro Sella, Rationem decimarum Sardinia
Pasquale Tola, Codex diplomaticus Sardiniae. Risorsa scaricabile online chiesecampestri.it
Francisco de Vico, Historia general de la Isla y Reyno de Sardeña, a cura di F. Manconi. Risorsa scaricabile online
Antonio Virdis, Brevi note sulla storia civile e religiosa dell’’Asinara, in “Sacer 1998”.
Salvatorem Vitalem, Clypeus Aureus Excelentiae Calaritanae
Ginevra Zanetti, I Camaldolesi in Sardegna

carlo hendel

Carlo nasce nei primi mesi del '50 e trascorre la sua infanzia a Roma, nella zona centrale della capitale, a “due minuti a piedi” da Piazza di Spagna. Di padre polacco e con la mamma abruzzese, Carlo aveva un fratello in Polonia, ed ha tre sorelle: una in Polonia e due in Italia. All'età di 22 anni si trasferisce nel paesino abruzzese di Barete e vi svolge attività libero-professionale per circa dieci anni. Consegue la nomina, da parte del Ministero di Grazia e Giustizia, alla Direzione Agrozootecnica della Casa di Reclusione dell'Asinara, evento che lo farà incontrare con l'isola e con la Sardegna. Vive e lavora con passione all’Asinara, per circa cinque anni, dal 1982. Alla vigilia della trasformazione dell’isola in Parco, partecipa come coautore, al volume “ASINARA” Storia, natura, mare e tutela dell’ambiente (Delfino Editore 1993) curato da A. Cossu, V. Gazale, X. Monbaillu e A. Torre, per la parte riguardante la Storia agricola e l’ordinamento carcerario. ------------------------------------------------------------------------------ L'Asinara non sarà più dimenticata. Blogger dal 2000 sotto vari pseudonimi, e con svariati blog. Nel 2007 pubblica una nota "L'Asinara - La storia scritta dai vincitori" con la quale, per la prima volta, rivendica per l'isola il suo "diritto inalienabile alla storia". Nel 2016 pubblica questo portale personale investendo notevoli energie e risorse solo con l'intento divulgativo e per testimoniare la storia dell'isola senza preconcetti o preferenze, per tutti i periodi e le vicissitudini attraversati dall'Asinara. Prosegue la sua attività lavorativa prima a Castelfranco Emilia (MO), poi a Roma (D.A.P.) ed infine a Viterbo ove maturerà il tempo della agognata quiescenza. All'età di 59 anni la sua vita cambia in modo importante, ma non è questa la sede propria di siffatta narrazione. -------------------------------------------------------------------------------------- Si definisce, da sempre, un ecoagricoltore e ancora oggi, produce olio biologico extravergine di oliva per autoconsumo, coltiva il suo orto con metodi esclusivamente naturali ed alleva animali da cortile. Carlo spesso ama dichiarare di aver avuto cinque o sei vite, ora ha due splendidi nipotini ed un diavolo per capello! Il resto lo lasciamo ai posteri......

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