Era una notte buia quella del primo gennaio del 1807 nel breve tratto di mare che separava l’Asinara da quella terra che, trascorsi ulteriori ottant’anni, prenderà il nome di Stintino.
Nei giorni precedenti le nuvole si erano rincorse, fino a diventare quasi rabbiose, nel cielo sopra il Castellazzo di Fornelli, sembravano voler giocare a rimpiattino.
L’isola dell’Asinara trascorreva un periodo di tranquillità dopo le frequenti scorrerie dei corsari barbareschi che infestavano il golfo omonimo, come tutto il mediterraneo, alla ricerca delle imbarcazioni mercantili da aggredire, ma non disdegnavano neppure quelle dei corallari e dei pescatori di aragoste provenienti da Ponza.
Gli sciabecchi, le fuste, le galere dei pirati mollavano gli ormeggi dal porto di Algeri e pattugliavano assiduamente le coste mediterranee.
A volte i barbareschi celavano i veloci sciabecchi all’interno delle insenature attendendo il passaggio del mercantile da depredare e, quando non riuscivano a arrembare imbarcazioni, per recuperare acqua e viveri sceglievano un obiettivo, un punto ove sbarcare, una zona possibilmente priva di difese ed una volta sbarcati, uccidevano chiunque si trovasse sulla loro strada, razziando ogni bene economico e all’Asinara la razzia comprendeva anche le greggi di pecore dei pastori sassaresi.
Don Antonio Manca, il Marchese di Mores, per porre un argine alle scorribande corsare, aveva utilizzato le numerose Torri di avvistamento poste lungo tutto il perimetro dell’Asinara (fig.1) in modo da ottenere avvistamenti precoci ed era stato predisposto un sistema di segnalazione luminosa in grado di diffondere l’allarme in tutta la Sardegna del nord.
Nella Torre dell’Isola Piana la guarnigione di difesa ed avvistamento era composta dall’Alcaide (comandante della guarnigione) e da sette uomini armati che effettuavano il servizio di vigilanza organizzato su turni che coprivano l’intera giornata.
L’Alcaide dell’isola Piana, agli inizi del 1800, era un giovane sobrio e deciso, di nome Carlo Ferragut che sapeva farsi voler bene dai sottoposti che cercava, in tutti i modi di aiutare perché il servizio, quel tipo di servizio, era pesante e prevedeva la permanenza nelle torri per almeno sei mesi continuativamente.
Le giornate di lavoro nella Torre trascorrevano faticosamente, ogni cosa necessaria alla vita dei componenti, l’acqua, il cibo, la legna per il fuoco dovevano essere trasportate attraversando quel breve tratto di mare.
A dire il vero Carlo Ferragut si sorprendeva a pensare spesso che la terraferma sembrava, a volte tanto vicina da poter essere toccata con la mano, ma era lontanissima quando all’orizzonte si addensavano nubi minacciose e le onde spruzzavano il cielo bagnandolo di acqua salata.
Carlo Ferragut apparteneva ad una famiglia di commercianti della Nurra ed aveva sposato una giovane Olbiese dalla quale aveva avuto ben quattro figli la cui mancanza, oltre quella della giovane sposa, si faceva sentire soprattutto nelle occasioni di festa come l’inizio del nuovo anno.
Erano giorni che, da mare di fuori, si addensava la tempesta che scoppiò violentemente quel primo di gennaio del 1807, quando la truppa ancora risentiva delle abbondanti bevute della sera prima.
Tutta la guarnigione ricordava quella tartana, che sembrava ubriaca anche lei, tanto zigzagava, sballottata dal vento, tra le acque infide del passaggio tra la costa sarda e l’isola Asinara.
L’equipaggio della tartana trasportava un carico di coralli, molto legname, e barili di pece, la merce non era eccessivamente pesante per cui il comandante, Antonio Servetto di Cagliari, con mare buono era in grado di governare discretamente, purtroppo però egli era un capitano di recente comando ed il Levante non gli offrì nessuna opportunità di manovra perché, rinforzando nel giro di un’ora, con una raffica velenosa, troncò di netto l’albero dell’imbarcazione.
A quel punto la tartana, ingovernabile centrò con la prua la Punta dell’Isola Piana schiantandosi e colando subito a picco.
L’equipaggio, compreso il pericolo, subito dopo la rottura dell’albero si gettò immediatamente in acqua e con difficoltà i marinai furono tutti recuperati con alcune cime lanciate dalla guarnigione della Torre.
Concludiamo con alcune interessanti notizie liberamente tratte dall’intervista a Frantziscu Sannino Gadau da parte della testata on-line “La Nuova Sardegna” nel 2016
Credo che gli ultimi lavori di restauro della torre dell’Isola Piana risalgano al 1932 – racconta Francesco Sannino – quando veniva utilizzata dall’Intendenza di Finanza per il controllo anticontrabbando.
La torre che sorge tra la spiaggia della pelosa di Stintino e l’Asinara venne costruita nel novembre del 1531, quando una delibera del consiglio civico di Sassari decise di realizzare una fortificazione per proteggere, dagli assalti di “turcos Y moros”, le barche coralline e le navi che transitavano verso il porto di Porto Torres.
I lavori, in realtà, furono completati nel 1596 e l’opera ebbe un costo di 2817 cagliaresi.
Fu questa una Torre di avvistamento con Alcaide (il primo fu Giovanni Capitano con un salario di 6 soldi al mese) la torre dell’Isola Piana era dotata di un artigliere e di quattro soldati armati con spingarde e due cannoncini.
Nel 1637, l’attacco da parte di un contingente francese che sbarcò all’Asinara, occupò Trabuccato e poi puntò sul Castellaccio e verso l’Isola Piana. Dopo la cessazione dell’amministrazione delle torri, venne presidiata dall’Intendenza di Finanza sino al 1950, era messa in comunicazione con le torri di Capo falcone, la Pelosa, Castellaccio e Porto Torres.
La pubblicazione del pezzo sulla Torre dell’Isola Piana è del 28 novembre 2017 in concomitanza con la ricorrenza dei venti anni di vita del Parco Nazionale dell’Asinara.
Si ringrazia sentitamente Ivan Chelo per l’immagine del Palazzo del Duca di Mores e dell’Asinara a Sassari nonchè Maria Franca Canu e Leonardo Delogu per le informazioni.
Carlo