Un difficile connubio, una scommessa da lanciare e vincere.
Attività di lavoro carcerario in ambito ambientale.
Occorre innazitutto circoscrivere questa particolare tipologia lavorativa, comprendendo in essa solo quel lavoro prestato all’interno degli istituti da soggetti detenuti, oppure anche esercitato all’esterno dell’istituto penitenziario, ma esclusivamente da soggetti “affidati”, “semiliberi” o “ammessi al lavoro esterno, ai sensi dell’art. 21 dell’Ordinamento Penitenziario” O.P.
Inquadramento storico sul lavoro in carcere
Il lavoro penitenziario, nella seconda metà del secolo appena trascorso e nell’inizio di questo:
- – ha subito qualche lenta evoluzione soltanto sul piano dei principi: è comunque rimasto obbligatorio per i condannati in condizioni fisiche valide;
- – ha perso il suo originario carattere afflittivo;
- – ha visto assegnarsi una remunerazione, sia pure ridotta ai sensi degli artt. 22 e 23 O.P..;
- – ha ottenuto il diritto al percepimento degli assegni familiari;
- – ultimamente ad esso si è applicata la disciplina generale sul collocamento.
La parabola appena descritta individua, delinea in modo estremamente sintetico e nel periodo temporale, un percorso estremamente lungo e faticoso della normativa che rincorre l’omologazione del lavoro penitenziario.
Ma questo appare un processo esclusivo, oltre che lento, nel senso che è stato introdotto dal legislatore sulla spinta di idee generate ed elaborate in differenti ambiti: amministrativo-penitenziario, universitario, giurisdizionale, tutti ambiti che hanno però origini costantemente “fuori” da se, quindi escluso, i due soggetti primari: il detenuto e l’imprenditore.
Fine della parte prima.