Normalmente ha il capo coperto da un cappello (c’è molto sole lì … all’Asinara) ed il cervello occupato che rimugina tra tutte le notizie che, frettolosamente ha trovato su internet, per cui si avventura sul cemento del porticciolo un poco frastornato, direi quasi confuso.
Diciamo titubante.
Noooo, non è possibile neppure un bagnetto piccolo ……… ma non possiamo neppure fare un selfie in quello stagno….. nulla? Poi mentre le curve della strada che, da Fornelli, va verso Cala D’Oliva continuano a svolgersi, i più attenti al bellissimo paesaggio che riempie la vista e scalda il cuore, giunti nel punto ove il “mare di dentro di colore turchese infinito“ tenta di baciare il “mare di fuori di colore blu cobalto“, vengono distratti da una piccola costruzione che, a stento, fa capolino dietro grandi cespugli di euforbia.
Immediatamente il gruppo tralascia le foto agli ultimi “cespugli della suocera” (Centaurea Horrida) ed aguzzando lo sguardo chiede: ….. e … quella cosa che spunta in mezzo agli alberi…… cosa è?
La STELE dedicata al Generale Ferrari!
E tanto per inquadrare questo monumento in un contesto atto a far comprendere il tempo ed il momento politico entro cui la stele è stata costruita e posta in quello specifico luogo, tentiamo uno specchietto sintetico.
Immaginate il periodo: 1915 -1917
I Serbi catturano una moltitudine di prigionieri austriaci ed ungheresi (in realtà le etnie erano molte di più) e, dopo un viaggio disastroso, li consegnano all’Italia che li imbarca a Valona per portarli all’Asinara.
In fretta e furia l’Esercito italiano predispone dei campi attrezzati con tende, tenendo come base Cala Reale ed il primo campo allestito sarà proprio il Campo di Stretti.
I toponimi indicati nella planimetria Google integrata (allegata) individuano gli accampamenti di prigionieri, i loro nomi sono relativi ai piroscafi che hanno sbarcato prigionieri.
Dopo qualche giorno, insieme ai prigionieri di guerra austro-ungarici sbarca all’Asinara anche il colera!!
Nella Relazione Ferrari si può leggere:
Zona Stretti. – L’attenzione di chi visitava gli accampamenti della zona stretti era attratta dai mosaici che con pietruzze della montagna e con ciottoli del mare, mani esperte di prigionieri avevano tracciati e compiuti nei vari reparti. In quello “Dante Alighieri” la base del monumento dedicato al generale Ferrari era un bizzarro, smagliante ed interessante insieme di pietre varie di colore e di forma, di disposizione, arieggante alla maniera pompejana, con arabeschi, iscrizioni, tratteggiate con un’arte semplice e non sgradevole, confacentesi all’obelisco, che si ergeva nel mezzo, e su una delle cui facce era stata eseguita in basso rilievo un’allegoria delle armi d’Italia: due daghe romane che s’incrociano in una corona di alloro sormontata dalla stella d’Italia. Lo zoccolo del monumento era ornato di frammenti iridescenti artisticamente disposti e scintillanti al sole.
La vicenda dei 25.000 prigionieri austro ungarici, complessivamente sbarcati sull’Asinara, è tra le più dolorose che abbiano avuto come teatro l’isola.
Ben 1.500 prigionieri perirono miseramente, ancor prima ancora dello sbarco e, nel periodo circa 5.000 persone hanno trovato sepoltura in fosse comuni (una di queste è indicata nella elaborazione della mappa di google).
Il campo di Stretti.
…. decise di far togliere arbusti e sassi e spianare il suolo nella zona centrale degli Stretti, sul dosso che si protende verso il mare. Ordinò di dividere la zona in altrettanti quadrati capaci di 500 uomini ciascuno; di costruire, esternamente ad essi, e verso il mare, le latrine e le cucine; di costruire pure una strada che dalla principale adducesse al nuovo campo, ed un’altra che dal campo conducesse al serbatoio dell’acqua potabile, e di preparare infine, appena fosse possibile, il terreno per l’impianto dei forni…..
Ne consegue che il Reparto a nord di Cala Marcutza fosse composto da 3.500 prigionieri, mentre quello collocato a sud comprendesse 1.500 prigionieri per un totale di 5.000 persone.
Settecento militari dell’Esercito Italiano svolgevano funzioni di controllo ed erano alloggiati nella caserma nei pressi della strada principale.
Questa struttura viene messa in funzione il 6 gennaio 1916. Vi venivano ricoverati i militari affetti da colera, gli appartenenti alla scorta militare dei piroscafi, nonché i componenti gli equipaggi infettati dal colera. Dell’ospedale sono rimasti soltanto alcuni ruderi (foto allegata), mentre dei due pontili in ferro non è rimasto alcun reperto visibile.
La Relazione Ferrari elenca quasi maniacalmente i decessi dei prigionieri che ebbero un apice il 2 gennaio, ed un graduale decremento sino ad arrivare al 15 aprile con nessun decesso registrato.
10 gennaio 1916 – 206 decessi
20 gennaio 1916 – 38 decessi
31 gennaio 1916 – 54 decessi
15 aprile 1916 – nessun decesso
L’OSSARIO DEI PRIGIONIERI DI GUERRA
Nel 1936 si completò la costruzione dell’Ossario, collocato davanti lo “Stagno lungo”, sulle falde orientali del Monte Ruda, in località Campo Perdu ed una volta costruito il mausoleo vi furono riposte le salme di 7.048 militari esumandoli dai diversi cimiteri e fosse comuni.
La differenza che si riscontra tra le cifre dei decessi (relaz. Ferrari) e quella delle salme (L’Asinara di Nino Giglio) è dovuta ai decessi di prigionieri di differenti nazionalità dall’agosto 1916 al 1919.
L’Ossario fu realizzato in base alla legge n°877 del 12.06.1931 dal Ministero della Guerra.
Nella riproduzione parziale dell’articolo edito dalla Rivista Diritto Penitenziario (Raccolta anni 1930- 1943 gentilmente concesso da Tiziano Schirru) si rinviene la modalità di operazione adottata per la riesumazione dei resti dei soldati austro ungarici sepolti nelle fosse comuni prima e nei cimiteri poi, dislocati a Fornelli, Stretti (2) , Campo Perdu (2) e Trabuccato.
Per il Generale Carmine Ferrari però non vi furono soltanto onori, poiché una denuncia pubblica per il trattamento disumano riservato ai prigionieri austriaci e per il regime disciplinare durissimo imposto dal comandante generale Ferrari, fu pubblicata sull’«Avanti!» il 28 settembre 1919.
L’autore dell’articolo era un capitano italiano vissuto nell’isola e titolava
(L’ecatombe dell’isola dell’Asinara.
L’episodio più triste e pietoso della guerra europea. Quindicimila vittime del colera. Il regime del bastone tra i prigionieri).
In seguito, parte dei detenuti sopravvissuti furono ceduti alla Francia (nonostante l’iniziale posizione contraria di Sonnino: cfr. Diario, II cit., p. 296, e Id., Diario I9I6-I922, IIl, a cura di P. Pastorelli, Bari I972, p. 8) e parte furono smistati nei vari campi.
CONFRONTI FOTOGRAFICI
Lavorando esclusivamente sulle immagini della zona di Stretti si ha l’opportunità di scoprire interessanti notizie che, confrontate con le attuali condizioni della zona, sorprendono non poco perché, come è espressamente detto nella più volte citata Relazione, nel periodo della prigionia degli austro – ungarici, Stretti era densamente popolato.
Nei pressi di Cala Marcutza infatti erano stati costruiti due nuclei (o raggruppamenti) dei Campi di prigionia chiamati Reparti, ogni Reparto poteva raggruppare più Campi che (come abbiamo più volte ripetuto prendevano nome dai piroscafi da cui sbarcavano i prigionieri).
In quello a nord della Cala insistevano il Regina Elena, il Dante Alighieri, l’Armenia, l’Indiana, lo Jonio, il Sinaj ed il Folkestone mentre a sud della Cala e dopo il cimitero erano stati costruiti il Campo Città di Cagliari, il Candiano e l’Ospedale Jonio.
La viabilità ordinaria era stata integrata con due nuove strade “la nuova strada al pontile” altrimenti detta “Corso Italia” e la “nuova strada ai Reparti”
Il serbatoio che si osserva sullo sfondo, nella foto di Ivan Chelo, è collocato a breve distanza dal mare, in posizione sopraelevata e della capacità di 120 mc di acqua potabile. Serbatoi gemelli di quello di Stretti sono stati costruiti a Tumbarinu e a Campo Perdu.
Qualcuno si chiederà come mai mi sono spinto ad affermare che la struttura nell’immagine corrisponda a quella di un serbatoio, ebbene l’indicazione proviene dalla concomitanza di più indizi:
- dalla Relazione indicata nei riferimenti bibliografici;
- dalla contemporanea osservazione diretta della struttura,
- dalla collocazione nei pressi della battigia in modo da essere facilmente raggiunta dalle manichette che, dalle navi cisterna, pompavano l’acqua potabile nel serbatoio;
- dalla posizione fuori terra, sopraelevata rispetto al restante territorio adiacente, per consentire all’acqua di giungere a caduta (anche in assenza di energia elettrica) nei fabbricati e nelle strutture di servizio;
- dalla conformazione del serbatoio i cui contrafforti esterni sono stati costruiti appositamente, dal genio militare, per bilanciare la poderosa spinta interna dell’acqua.
n.b. il presente schema è indicativo, in realtà i contrafforti sono in numero di tre nei lati lunghi del parallelepipedo ed uno nei due lati corti.
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