Ricevo e volentieri ripubblico una pagina di ricordi dell’Asinara, che va giù leggera, con il caffè di una domenica mattina d’agosto.
LA SCUOLA DELL’ASINARA
Mi dice l’educatore con le mani in tasca, che se voglio andare a scuola c’è posto.
A fare cosa, dico io? A togliermene gli occhi?
No, dice lui, a guardare meglio dalla tua finestra e poi c’è la maestra e allora visto che stiamo parlando di donne ci possiamo andare, anche perché da queste parti mica è semplice riuscire a vedere facce diverse.
Donne poi, merce rara, che sono le mogli degli agenti e le loro figlie e le nostre quando scendono dalla Cantiello ammassate, come pecore, all’angolo del mare che devono aspettare per poi fare la salita, e vengono scortate dagli agenti che mica se ne fuggono, ma loro hanno questa fissazione che tutti ce ne vogliamo andare, che potrebbe essere vero per noi, ma che non serve a mamma che ha 80 anni e anche se se vuole fuggire dove arriva? Neanche alla madonnina o al cannone.
Questa, a dire il vero è una gabbia di matti, però ben divisa.
Ci sono quelli pagati che sono gli agenti e poi ci sono gli altri, i civili. Poi quelli matti malpagati che siamo noi.
Tutti, però calpestiamo questa terra e guardiamo questo mare. Loro, rispetto a me ci camminano tutti i giorni. Io lo guardo.
In questo posto tra di loro ci sono molte persone, come il direttore che non guarda neppure terreno, la moglie che, incipriata e bianca, non te ne tira un sorriso neanche ad ammazzarti, la ragioniera che ha i capelli corti, ma occhi tristi e secondo me è una brava ragazza, lei e il figlio che conosco perché gioca sempre con gli altri bambini al paesello, quando scendo per andare all’orto e poi c’è l’altro ragioniere, quello cammina piano, l’agricolo, che si chiama agronomo, che è del continente ed ogni volta che viene all’orto mi dice cosa che non capisco ed è fissato con l’acqua che è caduta e quanto acqua ha fatto in quel giorno o in quell’altro, in centrale, ha costruito una specie di raccoglitore di plastica e ogni giorno si mette a contare le gocce che cadono e dice che è importante e io che me ne vado all’orto e mi controllo la vasca, che l’acqua è importante se è li dentro, quella che c’è sopra chissà se scende e non mi interessa.
Quindi, l’educatore ha detto che mi conviene ad andare a scuola e prendermi la media che con l’elementare oggi non sei nessuno. E cosa gli posso dire all’educatore? Che devo diventare qualche d’uno, che devo fare carriera nella politica o nella finanza? Manco un concorso devo fare, ma non gli posso rispondere mica male che poi lui scrive pagine brutte e negative e non esco prima e nemmeno vado in permesso.
Ed allora, con la zappa in collo, mi trova che sto finendo di abbare l’orto e gli dico che si, che ci vado, che non ho capito cosa devo fare, che voglio sapere gli altri chi sono e se ci sono i miei amici di Trabuccato e lui mi dice quattro nomi che neppure conosco. Forse di vista, dico per farlo contento, che mi guarda storto e mi può prendere per prezioso che non voglio fare amicizia con i detenuti e che se pensa questo, allora lui scrive pagine brutte e negative e non esco prima e nemmeno vado in permesso.
Bene bene, dico all’educatore e quando si comincia?
Dice da domani mattina, a Trabuccato.
E come ci arrivo a Trabuccato?
C’è il pullman bianco, parte alle sette e mezzo dalla Centrale prende a te e ad Antonio M. e poi entrate in diramazione, dritti in classe. Finite alle undici e aspetti il pullman della spesa, che passa verso mezzogiorno.
Ti siedi alla sbarra e aspetti.
Non è che mi piace molto l’idea ma, sai com’è questo scrive e allora aiutiamolo a scrivere bene. Dico se mi devo portare la penna e mi dice che c’è tutto a scuola, libri compresi. Una bellezza, tutto fatto e organizzato, e allora sono già promosso.
Mi sorride e mi dice che studiare mi serve ad allargare l’orizzonte.
Mi piace l’idea dell’orizzonte largo, ma poi ci penso e gli dico: “ma se mi devo fare ancora vent’anni, a lo sa come è il mio orizzonte? Una serranda chiusa”.
E lui, con le mani in tasca mi dice: “Vai a scuola che ti danno la chiave per aprire quella serranda”.
Allora mi convince.
Mi piace questa idea della chiave, che chissà se me la metto in tasca.
Do un colpo alla terra con la zappa e vado a chiudere l’acqua che se arriva il brigadiere mi fa rapporto perché ho chiuso troppo tardi e se passa l’agricolo mi fa rapporto perché ascolto il brigadiere che di campagna non ne capisce niente, che come la metti in questo posto tutti scrivono e poi lo dicono all’educatore, scrittore ultimo e lui scrive pagine brutte e negative e non esco neanche con la chiave.
Mi sa che mi conviene ad andare a questa scuola, che una chiave nella vita serve sempre.
E se poi mi bocciano, per aprire la serranda c’è sempre Marieddu che mi può aiutare che lui è bravo con il piede di porco.
Mi piace l’idea della scuola e della maestra lo penso mentre attraverso la stradina per tornare al transito e guardo il mare.
Troppa acqua penso, e la chiave con l’acqua al massimo si arrugginisce. Sarebbe meglio se fanno un corso per falegnami ad imparare a costruire barche, domani lo dico all’educatore ma poi, mentre aspetto che l’appuntato mi apra la porta penso che è meglio non dirglielo che magari pensa male e pensando male mi scrive pagine brutte e negative e non esco prima e nemmeno vado in permesso.
E buttano anche la chiave della scuola.
(23.08.2020 Per gentile concessione dell’autore Giampaolo Cassitta)