Iniziamo col dire che l’azienda della Casa di Reclusione dell’Asinara è stata, per qualche anno, la più grande Azienda Agrozootecnica della Repubblica italiana (sia in estensione che in quintali di capi allevati) ed è accaduto dopo che fu smembrata l’Azienda “Maccarese” (nel Lazio) e trasformata in S.p.A. una azienda che fù la prima in estensione dal dopoguerra con i suoi 3.200 ettari pianeggianti. Con questo voglio solo riaffermare che l’Asinara è stata, per decenni e stabilmente la seconda azienda agrozootecnica nazionale.
La struttura organizzativa
Organizzativamente l’azienda della Casa di Reclusione dell’Asinara era strutturata con queste modalità:
– la Direzione era collocata in Cala d’Oliva, località in cui insistevano le lavorazioni più impegnative per tutta l’azienda; su tutte il caseificio di cui parleremo però in altra parte del sito ed in modo più approfondito, poi c’erano le Diramazioni.
Le Diramazioni, per lunghissimo tempo, hanno costituito veri e propri agglomerati urbani di differente grandezza, dimensione ed importanza. Esse erano e sono ancora disposte lungo la dorsale stradale che collega, da nord a sud tutta l’isola dell’Asinara ed erano genericamente costituite:
- dalla struttura penitenziaria vera e propria con gli alloggi per i detenuti, la mensa etc.
- dalle strutture residenziali, i locali di alloggio e mensa del personale di polizia penitenziaria in servizio, gli alloggi delle famiglie residenti nell’isola,
- i fabbricati di servizio tecnico, i serbatoi idrici, le stazioni di pompaggio, i depuratori, le cabine elettriche etc.
- i fabbricati destinati alle attività agrozootecniche;
- gli invasi artificiali di raccolta dell’acqua meteorica;
- i terreni necessari allo svolgimento delle attività agrozootecniche.
Anche oggi partendo dal Faro di Punta Scorno e percorrendo idealmente tutta la dorsale stradale che attraversa longitudinalmente l’intera isola, troviamo:
- Case Bianche
- Cala d’Oliva
- Trabuccato
- Campo Perdu
- Tumbarinu
- Santa Maria
- Fornelli
Il lettore attento noterà certamente l’assenza del complesso di fabbricati di Cala Reale che, essendo giurisdizione della Stazione Sanitaria Marittima ricadeva (dal punto di vista agricolo) nel territorio di competenza della Diramazione di Campo Perdu.
In aggiunta alle Diramazioni avremmo poi trovato un numero di località come Campo Faro, Punta Scorno, Elighe Mannu, Stretti, Case Bruciate, Sa Zonca ed altre minori, che non avevano una funzione definita. Qualcuna, come Elighe Mannu, era costituita inizialmente solo dalle stalle per suini e caprini, qualcun’altra come Campo Faro raggruppava una serie di fabbricati ad uso abitativo assegnati al personale con famiglia residente sull’isola.
Ogni Diramazione era autonoma dal punto di vista dell’approvvigionamento idrico per uso domestico, l’acqua proveniva da sorgenti e da invasi artificiali (Fornelli – Campo Perdu e Cala D’oliva con l’invaso di Maria Rosaria dal nome della proprietaria dell’orto che era coltivato prima dell’esproprio, in qualche caso, l’acqua era potabilizzata con impianti appositi (ancora visibili quelli di Fornelli e Cala D’oliva) e per la distribuzione dell’energia elettrica ci si serviva di un elettrodotto su cavo che, per lunghi tratti, correva a fianco della strada “Fornelli – Cala D’Oliva”. Purtroppo durante l’inverno, il maestrale e l’accumulo della salsedine sui fili elettrici, causavano frequenti interruzioni dell’erogazione dell’energia elettrica con gravi disagi per tutti i residenti.
Ovviamente quando in questa sede si parla di “residenti” il riferimento è al personale in servizio, alle loro famiglie e alle persone detenute, senza distinzione di sorta.
Agrozootecnia – Un poco di storia.
Dopo la guerra e fino al 1965 l’allevamento del bestiame, in particolare quello bovino, all’Asinara era esclusivamente basato sul tipo “brado” e l’attività agricola sempre finalizzata all’allevamento zootecnico.
I ricoveri per il bestiame, stalle, fienili etc. scarseggiavano e quindi i bovini permanevano, estate ed inverno al pascolo libero, i parti dei bovini erano lasciati allo svolgersi naturale degli eventi per cui in momenti siccitosi e di scarsa produzione foraggera la natura adottava strategie di “riduzione” delle nascite automatiche, praticamente quello che, ancora oggi, accade in africa con gli animali selvatici.
La “battaglia del grano” fu una iniziativa del regime fascista promossa nel 1925, che prevedeva l’aumento della superficie coltivata e l’utilizzo di tecniche più avanzate quali la meccanizzazione e la diffusione di nuove varietà di grano, come le “Sementi Elette”, realizzate da Nazareno Strampelli.
In questo quadro di riferimento nazionale ho già riferito che nel 1927 la Casa di Lavoro all’Aperto fu insignita del Diploma di benemerenza per la buona riuscita del raccolto (nel successivo anno 1937 si ha notizia di una produzione di 13,70 q.li di granturco e 9,23 q.li di ricino coltivati solo nella piana di Fornelli ancora sprovvista di sistemi d’irrigazione).
Ho sempre sentito parlare del toro di Campo Perdu, (non quello della fotografia sottostante), ma di un suo predecessore che, mi raccontavano le guardie a cavallo, aveva incastrato la persona che lo accudiva tra la sua testa e la parete procurando al poveruomo lesioni che lo avevano condotto a morte.
Addirittura nella stalla di Campo Perdu dovrebbero ancora persistere i segni sul muro in alto, lasciati dalle corna del toro.
Nel bellissimo testo di Gazale e Tedde “le Carte Liberate” editore C. Delfino 2016 non solo si conferma il fatto, ma si aggiunge che il detenuto, giunto sull’isola il 5.11.1911 si chiamava Marziano Seghesio matr. 2097, ed era un siciliano che doveva scontare una pena a 19 anni. Morì per commozione viscerale e peritonite il 4 aprile 1914 in seguito a “cozzata di un toro” così recita il rapporto stilato.
I numeri
Qualche numero è necessario farlo, e non è difficile poichè il conteggio del bestiame era richiesto anche dalla Contabilità Generale dello Stato e si metteva praticamente in atto attraverso la compilazione mensile di un registro (Reg. 88) comunemente conosciuto come “l’ottantotto”.
In ogni Diramazione il personale addetto ai lavori agricoli e all’allevamento del bestiame compilava un resoconto giornaliero dei movimenti di bestiame e dei prodotti agricoli.
Con il termine “capi” qui vengono intesi esclusivamente il numero degli animali in allevamento cioè bovini, ovicaprini, suini ed equini (i mufloni, gli asini grigi e bianchi erano fuori conta, e vennero introdotti, solo gli asini bianchi, in tempi relativamente recenti 1982-1983).
Nel 1931 erano in conta 2.355 capi, ma la massima pressione antropica sull’isola si ebbe nel 1984 con 5.287 capi allevati (bovini, equini ed ovicaprini) a questo numero occorre sommare il numero di mufloni che ondeggiava tra i 600 e i mille capi, oltre agli asinelli grigi ed ai cinghiali che però non erano in numero elevato.
Da quell’anno (1984) iniziò la discesa del numero ed in più vennero nettamente divise le linee genetiche bovine introducendo, accanto alla linea tradizionale (prod. latte in Campo Perdu), anche una linea vacca vitello (da carne ubicata nella diramazione di Trabuccato).
Fu necessario questo innesto di nuove linee genetiche sopratutto per contrastare una problematica che si presentava nell’allevamento bovino, ovverosia la nascita di vitelli con la testa leggermente più grande rispetto alla media.
Questo tipo di problema denunciava uno scarso “rinsanguamento” e si traduceva in una serie di problematiche dovute dalle condizioni logistiche (parti in campagna) condizionati negativamente dalla assenza del veterinario (il veterinario era in convenzione) sull’isola e dal suo mancato o ritardato intervento, causato dal mare grosso, per cui i parti delle primipare presentavano elevate difficoltà di regolare espletamento.
Nello stesso periodo (1984), nell’allevamento ovino furono acquistati una decina di esemplari di arieti Merinos (da carne) al fine di ottimizzare le rese carnee dell’allevamento, già attestate a buoni livelli per la produzione di latte.
nel 1941 diventano 4287 capi di bestiame
1960 sono 5366 capi di bestiame
Dopo il 1965 si passò all’allevamento semibrado.
Nel 1970 i capi sono 4448 e negli anni che seguono si avvia anche all’allevamento di animali da cortile.
Dieci anni dopo, nel 1980, si arriva a contare un numero di capi pari a 4034 che comprendeva anche un residuo di 5-600 animali da cortile (tacchini galline e conigli) allevamento che l’anno successivo (1981) fu definitivamente dismesso.
Le superfici utilizzate a fini agricoli
Molte persone chiedono sovente di precisare le entità delle superfici agricole utilizzate durante il periodo penitenziario. Notevoli porzioni di territorio erano destinate all’utilizzo del pascolo di ogni specie in allevamento e queste superfici erano notevolmente superiori a quelle coltivate.
Tra Fornelli e S. Maria si calcolavano più di 700 – 800 ettari coltivati a foraggi ed erbai autunno-vernini (rotazione agraria), sul punto appare importante precisare che ogni tipo di coltivazione prescindeva dall’utilizzo di diserbanti e di fitofarmaci.
In ordine di grandezza decrescente si collocava Trabuccato con circa 450 ettari coltivati e 300 – 350 erano gli ettari dediti all’agricoltura della Diramazione di Campo Perdu.
Bisogna sempre tenere presente che i “confini” tra le Diramazioni non erano stabilmente definiti per cui, nei differenti periodi storici gli appezzamenti, sopratutto quelli ubicati ai confini delle Diramazioni contigue, venivano coltivati a volte da una Diramazione e a volte dall’altra, ciò in relazione alle variate possibilità di utilizzare il personale di servizio secondo le attitudini dimostrate, nonché al numero di bestiame che, min quel momento, gravava sulla diramazione.
Il totale dei terreni coltivati era quindi pari 1550 ettari circa.
Si aggiungono a questa cifra le superfici degli orti, presenti in ogni diramazione, superfici che erano di differente estensione e che complessivamente sommavano a circa 100 ettari. La Diramazione di Case Bianche aveva dei fazzoletti di terreno, ma le pecore e le capre si spostavano, con i pastori, a seconda del pascolo e della stagione giungendo sino alle spalle di Campo Perdu.
Il personale addetto all’Azienda Agraria
La Guardia a Cavallo costituiva l’ossatura portante della struttura produttiva, ma a chi corrispondeva questa figura singolare nel panorama della vita all’Asinara?
Era personale di Polizia Penitenziaria, (una volta Corpo del Agenti di Custodia) figura prevista dalla Legge e dai Regolamenti, dotato di spiccata esperienza in campo agrozootecnico che volontariamente decideva di dedicarsi alla cura del bestiame e alla gestione delle più svariate pratiche agrozootecniche.
L’Amministrazione Penitenziaria non ha mai dato lustro a questa, come a tante altre figure professionali, (d’altronde la assoluta assenza nella difesa della memoria del trascorso penitenziario dell’Asinara costituisce una testimonianza palese del disinteresse) né ha mai riconosciuto loro economicamente il “di più” professionale che, senza investimenti aggiuntivi, veniva utilizzato per il buon andamento del complesso.
Il trattamento sopra descritto non era riservato solo al personale di Polizia Penitenziaria, ma anche ad altre figure professionali misconosciute e poco considerate dall’amministrazione pubblica.
Forse non tutti ricorderanno che, ad esempio, il Comandante della Motonave Gennaro Cantiello era stato assunto in servizio, attraverso un concorso per Operatore di IV livello, quindi con retribuzioni consone al livello posseduto, ma con il bagaglio e le abilitazioni necessarie alla conduzione del mezzo navale, non certo una barchetta, ma una bellissima Motonave che era in grado di traghettare merci per decine di tonnellate e persone in numeri a due zeri. Con tutta la responsabilità e le competenze per il trasporto quotidiano ed il collegamento con Cala d’Oliva.
– Ricordo anche il nome dell’Ag.te Vincenzo Denofrio, profondo conoscitore dell’isola ed esperto in ogni attività svolta a contatto del territorio che avrete modo di vedere nel filmato.
Il lavoratore dell’Asinara e la sua mercede
All’Asinara vi hanno soggiornato obbligatoriamente personaggi di tutti i tipi, dal piccolo spacciatore africano al potente capobastone camorrista.
Quest’ultima figura non aveva certo bisogno di lavorare, anzi per ragioni le più disparate spesso si trovava in condizioni di non poter uscire dalla sua cella oltre il periodo concessogli dalla legge.
Invece altri, molti altri traevano, da queste attività lavorative agricole, un reddito minimo per poter aiutare le famiglie che subivano tutti i disagi della carcerazione, senza aver commesso reati di alcun tipo.
L’importo giornaliero con la quale la Direzione remunerava, per legge, il lavoro svolto all’interno della struttura penitenziaria, in ogni settore (compreso quello agricolo), corrispondeva ai due terzi della paga sindacale minima del momento.
Non per tutte le posizioni lavorative era possibile corrispondere la remunerazione (tecnicamente definita “mercede” per periodi prolungati poiché, con la insufficiente copertura dei capitoli di spesa relativi alle retribuzioni, la Direzione era costretta, attraverso la rotazione, ad ampliare la platea dei fruitori.
La maggior parte di coloro che prestavano la propria opera nell’Azienda agraria erano pastori sardi per cui io ero uso dire che le strutture penitenziarie consentivano di vivere la propria esistenza e scontare la pena che il Giudice aveva assegnato loro, con una modalità molto simile a quella rintracciabile nei luoghi d’origine.
Per supportare questa mia affermazione, che ai più potrebbe suonare fuori posto, ho accluso un pregevole filmato edito da Carlo Delfino Editore del 1994 dal titolo “ASINARA, L’ISOLA PROIBITA” girato sull’isola nel 1993 dai registi di Daniele Cini e Maurizio Felli con la splendida fotografia di Maurizio Felli.
Soggiorno “non obbligato” per una troupe televisiva all’isola-carcere dell’Asinara, un paradiso protetto da un secolo di isolamento. Una natura incontaminata dove gli animali si sentono liberi perché gli uomini sono prigionieri! É la prima volta che una troupe italiana riesce a realizzare un documentario su quest’isola sconosciuta.
Quello che precede è il testo della presentazione di lancio del filmato dell’epoca che, forzatamente, sono stato costretto a ridurre del 50% circa, ma che è possibile visionare integralmente nella nostra pagina fb degli “affetti da mal d’Asinara”.
E’ il caso di Paolo Picchedda la cui voce ascolterete, tra le altre, nel filmato che precede. Si tratta di una persona ora libera, che ho espressamente contattato con la richiesta, accordatami, di citare integralmente il suo nome.
E’ interessante soffermarsi un poco su ciò che Picchedda afferma nel filmato e, per comprenderlo fino in fondo, ho deciso di “sottotitolarlo”….
Leggete cosa dice:
“Eh io esco al mattino, alle cinque, dalla Diramazione dove dormo e vengo con questa mula.
Qui, dove c’ho il caprile, si chiama Elighe Mannu …. mi “radunisco” le capre e le porto al caprile, di là dò il latte ai capretti e faccio la mungitura e poi le faccio uscire di nuovo a pascolare, no!
Di sera, rientro verso le nove alla diramazione, per dormire e la giornata mi passa così.
Qui, dove siamo noi, si chiama Punta Scomunica, questa è la punta più alta di tutta l’isola, qui ci sono capre, cinghiali, mufloni, c’è la poiana, ci sono cinque o sei tipi di falchi….. gli animali qui è il fiore dell’isola!
—
Eh la volta là c’era proprio un bel mucchio di vari animali, tutti insieme, erano una cinquantina di mufloni, tutti a un branco… pascolando, e un cinquanta o sessanta capre, erano tutte unite, pascolando serie loro, …. un paradiso. Mi sono trattenuto qualche due ore, bene, a guardare la bellezza di questi animali….
… uniti,
… era proprio una bellezza.
—
E’ un bel posto, di fronte a stare nei carceri chiusi, sempre facendo là il detenuto, come si deve tenere, con le regole, con tutte queste cose … mi
Eh!… ci debbo rimanere ancora una….. quindicina d’anni ….
Eh Eh Eh….. però per me è un bel posto!
Nella carrellata finale del filmato (il piccolo concerto a Cala d’Oliva) si possono facilmente riconoscere tantissime persone, tra cui il Direttore dell’epoca Gianfranco Pala ed anche, di sfuggita, l’ultimo Agronomo dell’Isola Antonello Mulas, ma vi sono molte persone che, purtroppo, non sono più tra noi.
Per cui questo raro documento assume, per noi “ammalati storici dell’Asinara“, ancor più valore.
Chi, e ormai sono molte centinaia di persone osserva, sia pure solo superficialmente, questo articolo, potrebbe pensare che, nelle frasi, si possa intravvedere un “rimpianto per la passata gestione” e il “desiderio di un impossibile ritorno“.
Ma non è così!
E solo voglia di testimonianza da tramandare, potrei arrivare a dire che è voglia di “cristallizzare”, una situazione che,
– pur avendo avuto indubbiamente anche i suoi lati negativi, (isolamento, difficoltà di collegamento, etc etc),
– pur avendo affidate istituzionalmente differenti funzioni,
ha avuto il grande merito di AVER RICEVUTO e sopratutto di “AVER LASCIATO” alle future generazioni un patrimonio storico – naturalistico unico al mondo.
Per anni il nostro orizzonte si è aperto nel “paradiso”!
e noi tutti siamo convintamente orgogliosi di aver fatto la nostra piccola parte per contribuire a mantenerlo tale.
Carlo Hendel
24 maggio 2016
Visto l’enorme interesse suscitato dall’immagine in testa all’articolo ho privatamente contattato la gentilissima proprietaria, la Signora Luisa Deiana ed ella mi ha subito inviato anche la parte retrostante.
E’ stato, per me, come tornare indietro nel tempo di moltissimi anni.
Innanzi tutto posso riferire che è una cartolina inviata da un prigioniero di guerra che scrive evidentemente alla famiglia in Ungheria indirizzandola a Frau Josef Nagy .
La cartolina è, in termine tecnico, una cartolina “viaggiata” cioè spedita e ricevuta. Reca una grafia maschile scritta con matita in lingua ungherese per cui non è perfettamente leggibile e conserva anche i timbri della CROCE ROSSA ITALIANA, nonché della “Censura dei Prigionieri di Guerra”.
Senz’ombra di dubbio l’età della cartolina risale al 1915 -1916.
La diga di Maria Rosaria volgarmente detta “del Pecorile”
L’immagine di Gianni Piano, pubblicata il 28 luglio 2020 nella pagina degli Affetti dal Mal d’Asinara, ci offre lo spunto per scrivere di una importante struttura dell’Isola dell’Asinara, un impianto che ha contribuito notevolmente ad alleviare i disagi della popolazione ivi residente fino alla chiusura del Carcere.
L’acqua “grezza” veniva potabilizzata e resa idonea per gli usi civili, dall’impianto di potabilizzazione ubicato appena sopra la diramazione “Centrale”.
Dopo la rovinosa distruzione, per tracimazione, della prima diga, questa fu ricostruita nel 1967 con criteri moderni, ed è giunta fino ai giorni nostri (luglio 2020).
Quello sottoriportato è l’ordine di servizio con cui il Direttore Catello Napodano comunica l’affidamento della direzione dei lavori per la costruzione delle dighe di Cala D’Oliva e Trabuccato al Cavaliere Domenico Agnelli nonchè il completamento di quella di Campo Perdu.
Il Cav. Domenico Agnelli aveva svolto servizio all’Asinara in qualità di Brigadiere e, successivamente alla pensione, aveva accettato incarichi di direzione dei lavori edili all’Asinara.
Ecco, di seguito, le immagini d’epoca relative alla “ricostruzione” della Diga.
Nella seconda foto sono visibili scritte originali apposte a matita di pugno dall’Agronomo dell’epoca, che aveva progettato l’opera e doveva essere De Siervo.
Le scritte indicano i tre sbarramenti costruiti appositamente per sostenere la spinta dell’acqua ed impedire lo “scivolamento, a valle, della struttura.
Le immagini non sono datate.
La tracimazione della prima diga fu conseguenza di un’annata di abbondanti precipitazioni e la mancanza di un “sistema di sfioro”, causò la distruzione della prima diga.
Ciò accadde di notte e la massa d’acqua si riversò violentemente a valle raggiungendo il mare a Cala della Murighessa disabitata per via dell’ora.
Il percorso distruttivo della massa d’acqua è evidente nella planimetria allegata.
Molto bello è la storia di un vissuto di un isola particolare , l’Asinara isola che oltre essere carcere, abbia avuto una vita sociale fatta anche di rapporti tra chi era libero nell’isola e chi invece era detenuto.. Credo chi abbia vissuto quel periodo , ne abbia tratto ricordo indelebile come Lucia Amata , che ha vissuto li una parte della giovinezza.
Grazie per il bel commento Paolo.
E’ proprio così, ma non è una prerogativa riservata solo a quando c’era l’Amministrazione penitenziaria a gestire quel paradiso.
Ho la fortuna di osservare che questo sistema di relazioni interpersonali cementato dall’isola dell’Asinara si perpetua anche oggi che i detenuti non ci sono più.
Nel recente webinar che è stato organizzato dal Parco Nazionale dell’Asinara, ho avuto il compito immeritato di organizzare gli interventi, tra cui quello di Lucia Amato.
Non c’è stata una persona che non abbia incentrato i suoi ricordi su episodi piacevoli e di amicizia, senza alcuna distinzione.
Il resoconto e le immagini del lavoro sono reperibili a questo link: https://www.isola-asinara.it/sensazioni/
Carlo