SVABA
SVABA

Svaba

La scritta, nell’immagine che apre questo articolo, apposta sulla croce in legno collocata sul luogo di sepoltura in memoria di un soldato deceduto a causa del tifo in Serbia, è “svaba” con questo termine “svaba” (ovvero “crucco“) i serbi apostrofavano di(spregiativamente tutti i soldati di Francesco Giuseppe (dell’esercito comune dell’Impero austriaco), indipendentemente dalla loro etnia. (ph. da “Dai Balcani all’Asinara” pag 249)

Era detto anche esercito comune (istituito nel 1806), per distinguerlo dall’esercito ungherese e dall’esercito austriaco che insieme costituivano il complesso delle forze armate terrestri (k.u.k. Landstreitkraefte) della duplice monarchia asburgica.

L’Impero Austroungarico quindi non aveva un solo esercito, ma tre:

Bandiera dell'esercito imperiale

Bandiera dell’esercito imperiale

– l’esercito comune istituito nel 1806;
– l’esercito nazionale reale ungherese (Magyar királyi honvédség) affiancato al primo nel 1867;
– la difesa Territoriale Imperialregia la kaiserlich königliche Landwehr .
Ogni struttura bellica aveva un proprio assetto organizzativo, logistico ed amministrativo.

 

Il TIROLO e L’ASINARA

Cosa hanno in comune queste due realtà, tanto distanti tra loro dal punto di vista geografico, storico, politico e culturale?

Il libro di Giovanni Terranova e Marco Ischia, di cui abbiamo già in precedenza riferito, ci consegna, nel quadro generale di sconvolgimento della prima guerra mondiale e della vicenda dei prigionieri austroungarici, una storia sicuramente ai più sconosciuta, la vicenda di 4.000  tirolesi che, nella prima guerra mondiale, furono mandati sul  fronte balcanico, a combattere contro la Serbia.
“Una storia ed un fronte, quello  balcanico, praticamente dimenticati.
Nella “memoria dei vinti”, come viene  spesso definito il ricordo dei combattenti nell’esercito asburgico, è  emersa – e solo negli ultimi 40 anni – la vicenda dei reduci sul fronte  orientale della Galizia, mentre poco o nulla si conosceva del minore fronte  serbo e della sventurata campagna guidata dal generale Potiorek nel 1914, che  coinvolse circa 4.000 Landsttürmer tirolesi del 1° reggimento e del 27°  battaglione di marcia.
Ancora meno si sapeva della prigionia in Serbia, che  coinvolse molti di loro, della successiva drammatica “marcia della morte”  attraverso i monti dell’Albania, dell’imbarco a Valona sulle navi italiane e del  proseguimento, nel 1916, della loro prigionia sull’isola dell’Asinara.”   (liberam. tratto  dalla premessa del libro)

 

UN FORTE COLLEGAMENTO AL PRESENTE

Una doverosa considerazione.
Moltissime sono state le persone, che hanno prestato servizio all’Asinara in differenti periodi e in diversi ruoli, operando sull’isola ogni giorno, con molta fatica unita all’entusiasmo di poter curare un bene inestimabile. Nella diuturna fatica del lavoro, hanno percorso migliaia di chilometri lungo tutte le strade, allora molto polverose (erano solo parzialmente cementate) nel paradiso naturalistico che tutti conoscono.
Poi vi erano le persone residenti, famiglie che, al seguito del personale ivi impiegato, hanno trascorso molti anni negli alloggi demaniali.
Questi articoli, che via via pubblico, e che concernono il periodo della prima guerra mondiale, sicuramente potranno costituire una sorpresa per i vecchi abitanti, come per i nuovi visitatori.

I primi faranno appello ai loro ricordi ….

Allora l’isola era quasi totalmente assorbita dalla struttura penitenziaria ed in altre parti di questo sito, ho riportato le molteplici attività che, all’interno dell’Azienda Agraria del DAP si sono svolte, per corrispondere al dettato costituzionale dell’Art. 27.

Per tutte queste persone il transito davanti l’Ossario era quindi plurigiornaliero e la stele di Stretti, pur non essendo molto visibile, era tuttavia conosciuta, così come la Cappella austro ungarica di Cala Reale le cui statue di S. Gavino e S..Efisio da tempo sbriciolate, furono poste in difesa dal prigioniero ungherese György Nemes Ősz.
Nonostante questa testimonianze importanti, raramente è capitato di ascoltare narrazioni che riguardassero il periodo della prima guerra mondiale, quasi che, su tutta questa vicenda, venisse esercitata una discreta, tacita, omissione.
Fu evidentemente calato un sipario silenzioso.
Anche le istituzioni ufficiali hanno fatto in modo che si evitasse di parlare diffusamente degli accadimenti del 1915.

Oggi possiamo affermare di esserci accorti che il tempo, oltre ad aver aggredito inesorabilmente le pietre, ha tentato di fagocitare anche la storia di quei luoghi, le sofferenze di quelle persone, con l’intento di disperdere gli uni e le altre, come polvere  dopo una “levantata” di quelle memorabili …

… eppure ben ottomila200 persone (1)  non hanno fatto più ritorno ai loro paesi d’origine……

E’ emblematica la traversia in cui è incappata anche la nostra Stufa Giannolli della quale, per decenni è rimasto misconosciuto il nome, nonché la sua funzione.
Solo dopo il 2015, questo sito, ha avuto il merito di lacerare la cortina di silenzio che avvolgeva la stufa e dopo averne dichiarato l’origine, ha richiesto formalmente il suo restauro e la sua corretta collocazione, istruendo presso il Competente Ministero, l’iter per il riconoscimento come cimelio storico.

 L'immagine più antica della cappella e delle statue.

L’immagine più antica della cappella e delle statue.

 


SILENZIO, ma PERCHE’

Senza scomodare gli esempi più esecrabili di “pulizie etniche”, o fare riferimenti a immani tragedie del passato, possiamo affermare che questo tipo di atteggiamento omissivo è caratteristica comune di ogni conflitto, sia di quelli armati che di quelli moderni, sempre più spesso, combattuti nel silenzio ovattato delle Cancellerie e nel segreto dei corridoi dei “servizi di Intelligence”.
In aggiunta a quanto scritto in altre parti di questo sito, possiamo rilevare che il testo “Dai Balcani….” ci offre continuamente una ulteriore chiave di lettura, laddove gli autori, scrupolosi fino all’inverosimile, avvisano il lettore che le vicende riportate nel testo sono vicende di sofferenze immani subite da parte dei prigionieri prima, durante e dopo la permanenza all’Asinara, istantanee più appartenenti ad un “calvario” che ad una “odissea” termine quest’ultimo che richiamerebbe inconsce reminiscenze intrise di fantasia e di avventura.

Anche la scelta, dei due autori, di non recare immagini provenienti dall’album fotografico riscoperto nel 2013 ed intitolato  “I prigionieri di guerra Austriaci” è indicativa, poiché le immagini, successivamente acquerellate, risultano per G. Terranova e M. Ischia, a causa della loro modifica, “addolcite” tanto da giungere, in qualche caso, ad “lasciar intravvedere” una realtà non corrispondente ai fatti, oltre a doversi ricondurre alla legittima aspirazione degli autori di voler riferire e confrontare fatti ed accadimenti, senza operare variazioni di sorta.

Una delle immagini acquerellate

Lo sbarco dei prigionieri

La volontà di obnubilamento storico, perseguita per lunghissimi anni, conferma, nei suoi caratteri essenziali il tentativo degli alti gradi del Regio Esercito Italiano di far passare in sordina l’avvenimento eclatante. Perchè?

Le opere di Josef Šrámek con il suo “Diary of a Prisoner in World War”, le memorie dell’Ufficiale ceco Jan Laska nonché quelle del Dr. Robert Schatz, se collegate alle affermazioni contenute nel testo di Luca Gorgolini “I dannati dell’Asinara” coadiuvate dalle impressioni del  Capitano del regio esercito italiano Giuseppe Agnelli, convergono e si condensano all’articolo pubblicato il 28 settembre 1919 dal giornale “Avanti”  organo del Partito socialista italiano  con il titolo indicativo “L’ecatombe dell’isola dell’Asinara” che suscitò immediatamente vasta eco nel mondo.

 

La pagina dell'Avanti del 28.09.1919

La pagina dell’Avanti del 28.09.1919

Il calvario dei Landstürmer tirolesi

Landsturm era, nell’esercito, dal 15 ° secolo “l’ultimo contingente” di tutti i coscritti che non appartengono all’esercito di terra, neppure alla Marina, ed erano chiamati alle armi esclusivamente per scongiurare un’invasione nemica.

 Il TIROLO di 4000 tirolesi
I prigionieri prendono il bagno a Stretti

I prigionieri prendono il bagno a Stretti

La prima immagine, ormai più volte visionata in questo sito, proviene dall’archivio di Rainer Pauli ed è in pratica una foto dell’album del soldato Ludwig Maderthaner, prigioniero di guerra all’Asinara dal 1° novembre 1916 al 15 agosto 1919.
E’ quindi successiva al periodo drammatico del colera e ritrae molto probabilmente degli ufficiali.

Maderthaner era infatti l’attendente di un ufficiale.

L’ultimo reduce della campagna di Serbia del 1914, morto all’Asinara, fu il Landstürmer Francesco Giuseppe Dossi di Corné di Brentonico, spentosi il 27 dicembre 1917. (Marco Ischia)

nell'immagine è evidente la sua ubicazione

Immagine la cui ubicazione nella Rada della Reale  è evidenziata dalla meda-fanale sullo sfondo.

 

nella immagine satellitare è evidente la meda . fanale di segnalazione della secca

Nell’immagine satellitare è evidente la meda – fanale di segnalazione della secca

Di seguito inseriamo i video della presentazione del libro “Dai Balcani all’Asinara” di Giovanni Terranova e Marco Ischia per le rirese dei quali si esprime il ringraziamento sentito all’autore Marco C.

prima parte

 

 

seconda parte

 

 

 

terza parte

 

 

quarta parte

 

 

 

Quindi la nostra isola dell’Asinara e la triste vicenda complessiva dei prigionieri di guerra nel periodo post bellico, sono state entrambe trasformate in vessilli sbandierati contro, o  a favore, di varie fazioni politiche che le hanno utilizzate senza scrupolo nella lotta politica dell’epoca.

In aggiunta si rileva che l’enfatica ricostruzione storica, operata nel testo attribuito al Generale Carmine Ferrari, oltre a conservare la sua indubbia validità dal punto di vista dello svolgimento cronologico degli avvenimenti e delle azioni messe in atto dal Regio Esercito, ha avuto per altri versanti, l’intento neppure troppo nascosto, di offrire, quando le parole potevano lasciar ipotizzare responsabilità di tipo politico o addirittura etico, una lettura “epica” (quindi lontana dalla realtà dei fatti accaduti, della vicenda storica) per celare le impreparazioni, le inefficienze  e sicuramente altre magagne che, nel prosieguo della narrazione, saranno evidenziate e documentate in questo sito.

1) dato accuratamente confrontato con altre fonti dagli autori nel testo “Dai Balcani all’Asinara” di Giovanni Terranova e Marco Ischia 2017 pag. 571

carlo hendel

Carlo nasce nei primi mesi del '50 e trascorre la sua infanzia a Roma, nella zona centrale della capitale, a “due minuti a piedi” da Piazza di Spagna. Di padre polacco e con la mamma abruzzese, Carlo aveva un fratello in Polonia, ed ha tre sorelle: una in Polonia e due in Italia. All'età di 22 anni si trasferisce nel paesino abruzzese di Barete e vi svolge attività libero-professionale per circa dieci anni. Consegue la nomina, da parte del Ministero di Grazia e Giustizia, alla Direzione Agrozootecnica della Casa di Reclusione dell'Asinara, evento che lo farà incontrare con l'isola e con la Sardegna. Vive e lavora con passione all’Asinara, per circa cinque anni, dal 1982. Alla vigilia della trasformazione dell’isola in Parco, partecipa come coautore, al volume “ASINARA” Storia, natura, mare e tutela dell’ambiente (Delfino Editore 1993) curato da A. Cossu, V. Gazale, X. Monbaillu e A. Torre, per la parte riguardante la Storia agricola e l’ordinamento carcerario. ------------------------------------------------------------------------------ L'Asinara non sarà più dimenticata. Blogger dal 2000 sotto vari pseudonimi, e con svariati blog. Nel 2007 pubblica una nota "L'Asinara - La storia scritta dai vincitori" con la quale, per la prima volta, rivendica per l'isola il suo "diritto inalienabile alla storia". Nel 2016 pubblica questo portale personale investendo notevoli energie e risorse solo con l'intento divulgativo e per testimoniare la storia dell'isola senza preconcetti o preferenze, per tutti i periodi e le vicissitudini attraversati dall'Asinara. Prosegue la sua attività lavorativa prima a Castelfranco Emilia (MO), poi a Roma (D.A.P.) ed infine a Viterbo ove maturerà il tempo della agognata quiescenza. All'età di 59 anni la sua vita cambia in modo importante, ma non è questa la sede propria di siffatta narrazione. -------------------------------------------------------------------------------------- Si definisce, da sempre, un ecoagricoltore e ancora oggi, produce olio biologico extravergine di oliva per autoconsumo, coltiva il suo orto con metodi esclusivamente naturali ed alleva animali da cortile. Carlo spesso ama dichiarare di aver avuto cinque o sei vite, ora ha due splendidi nipotini ed un diavolo per capello! Il resto lo lasciamo ai posteri......