Una storia tragica quella dell’Onda, come spesso sono tragiche le storie di mare che si raccontano, perchè le storie che hanno avuto esiti positivi non si raccontano, poco interessano i lettori.
Noi lo facciamo poichè crediamo che il mare, come tutte le cose che ci circondano sia di incomparabile complessità e di estrema bellezza.
Questa volta, sollecitati da un Comandante di un pescaturismo turritano, che svolge la sua attività conducendo turisti in visita all’Asinara, ci siamo dedicati a questo racconto, che vede la zona sud dell’isola dell’Asinara come sfondo ed il Castellaccio, ovvero il Castello dei Malaspina, osservare di nascosto, dall’alto dei suoi 215 metri, quell’evento tragico che ha avuto il suo triste epilogo nel Golfo dell’Asinara.
A volte i drammi si consumano dopo circostanze incredibili, quasi a sottolineare agli uomini la loro fragilità e soprattutto la loro impotenza contro eventi che colpiscono all’improvviso polverizzando i loro sogni e le loro speranze.
Destino? Nemesi? Fatalità?
Non abbiamo risposte da offrire all’affezionato lettore, solo la certezza di quel dolore che penetra a fondo, fino quasi ad annientare l’anima.
Alla morte ci si può avvicinare, a sfiorarla e poi ritornare alla vita, in quel caso sarebbe un po’ come rinascere, ma questa tragica vicenda ha avuto un epilogo diverso. Si è compiuta interamente la sua evoluzione, morte, vita, morte.
Un percorso quasi schizofrenico che ha colpito con rara intensità.
L’Onda era una splendida imbarcazione, potente e maestosa.
Una ex baleniera in ferro, di 60 tonnellate, adibita a peschereccio che nel maggio del ‘43 colò a picco col suo equipaggio nelle acque del golfo dell’Asinara raggiunta dai colpi di cannone esplosi da un sommergibile inglese.
In pieno conflitto mondiale l’Onda era praticamente l’unica imbarcazione a poter garantire alla popolazione turritana e dell’hinterland un rilevante quantitativo di pesci quasi unica risorsa alimentare dello scalo turritano.
Il peschereccio al completo, con i suoi dieci uomini di equipaggio, salpa il 25 maggio 1943 di buon mattino dalla scalo turritano.
Il golfo dell’Asinara, particolarmente pescoso, non tardò a dare i suoi frutti, ma qualcosa di incredibile stava per verificarsi in quella giornata apparentemente calma.
Improvvisamente la barca ebbe un sussulto e perse mobilità, mentre tutto il sistema che reggeva la grossa rete parve disintegrarsi da un momento all’altro.
A bordo meraviglia e paura sono gli stati d’animo, condivisi dagli uomini dell’equipaggio che, come in un incubo, dopo quei concitati momenti, videro affiorare, a poppa dell’imbarcazione, la torretta di un piccolo sommergibile, incredibilmente rimasto imprigionato nella rete.
Il comandante comprese immediatamente che non c’era tempo da perdere, occorreva liberarsi di quello scafo armato stretto dalla rete.
I marinai agiscono sui verricelli e si liberano i cavi delle guide.
L’Onda, libera dalla rete e dall’ingombrante carico, rientra rapidamente al suo ormeggio.
Tornati a terra, però, i pescatori vengono quasi derisi da alcuni ufficiali della marina di Porto Torres, che non credono al loro racconto.
Dopo alcuni giorni d’inattività, l’Onda il 6 maggio 1943 riprende il mare senza immaginare di andare incontro ad un tragico destino …. giunta a poche centinaia di metri da Fornelli, vede riemergere lo stesso sommergibile catturato nelle reti qualche giorno prima. Il sottomarino inglese, senza attendere neppure un attimo, fa fuoco contro l’inerme peschereccio.
Dodici colpi di cannone rimbombano nelle orecchie dell’equipaggio attonito, mentre centrano la fiancata destra dello scafo, poi repentinamente il sottomarino manovra e si porta in direzione dell’altra fiancata del peschereccio per “finire il lavoro”.
Altri dodici colpi si schiantano fragorosamente sulla barca turritana che, in breve tempo, affonda.
Dei dieci componenti dell’equipaggio, solo tre riescono a scampare alla tragedia e sono i fuochisti Giovanni Esposito e Antonio Sanna che trovano il tempo di gettarsi in mare e allontanarsi immediatamente mentre il sommergibile era intento a manovrare. Si salva anche il macchinista Sergio Del Giudice, che, quel giorno era rimasto a terra.
Niente da fare invece per il comandante ponzese Gennaro Sandalo, i marinai Emilio Acciaro Vincenzo Fois, Paolo Baccalà, Ciro Valente, il capo pesca Michele Nole e Antonio Striani, vittime di un evento che, ancora oggi, a distanza di anni, suscita commozione e forte sconcerto per le modalità con cui si è consumato.
Racconto tratto liberamente dal testo Amarcord