Ormai le immagini dell’Asinara hanno inondato il web, i turisti che la frequentano con le loro apparecchiature fotografiche da migliaia di euro, scattano miliardi di immagini, una parte di queste vengono caricate nei siti web, nei social.
Se si cliccano le parole “Asinara immagini”, su un motore di ricerca qualsiasi, in 0,61 secondi il computer ci restituisce un dato sorprendente di 82.600 risultati, se però si inverte l’ordine di scrittura delle due semplici parole, il dato diventa di 152.000 files!
Questo per dire che attrezzandosi di tutto punto il turista tenta, forse invano, di catturare “l’anima” dell’Asinara di racchiuderla nei suoi scatti, ma non è semplice farlo, poiché la forzata ed indolente superficialità del visitatore glielo impedisce, non riesce a farlo, allora si accontenta della foto.
L’Asinara, secondo me, va visitata a piedi, con la scorta dell’acqua sufficiente e di qualche panino nello zaino, ma attenzione si deve essere privi di tutti gli strumenti per immortalare paesaggi.
Si parte a piedi e subito si abbandonano i rumori della civiltà e si riescono, dopo poco a percepire distintamente solo gli scricchiolii della ghiaia schiacciata dalle nostre suole, poi mano mano che il tempo passa, l’udito ritrova capacità innate ed inaspettate.
Accade la stessa cosa agli occhi che, in una calda notte di luglio come quella odierna, lasciamo al buio per osservare la volta celeste.
Tutti i genitori con il loro bimbi dovrebbero, ogni tanto, provare questa bellissima esperienza.
Inizialmente gli occhi riescono a catturare solo due o tre punti luminosi, le stelle più grandi, Antares, Vega o Arturo, ma dopo una mezz’ora di buio, si svela anche la via Lattea, mentre i pensieri viaggiano leggerissimi alla velocità della luce.
Allora, durante la passeggiata all’Asinara, bisogna continuare a restare in silenzio ad ascoltare la sua voce che sicuramente sovrasterà la risacca ed in modo suadente, sussurrerà all’orecchio, ormai pronto, le sue bellissime storie……..
E’ un viaggio, me ne rendo conto, che non tutti possono permettersi, ed è anche una passeggiata rischiosa quella che l’isola ci invita a fare, ma è l’unico modo per incontrarla veramente, per ascoltare la sua voce.
L’Asinara chiede sempre, a chi pone il piede sul suo suolo, di innamorarsi di lei, ed il turista che si sottrae riporterà dal suo giro turistico … solo …. semplici fotografie.
Io, che in questo sito voglio provare a mostrare i lati meno conosciuti dell’Asinara, quelli più profondi, meno evidenti, scolasticamente mi impongo di partire dal nome della località, per precisare che è uno dei punti più suggestivi dell’isola, però mentre mi accingo a scrivere, dalla tastiera del computer autonomamente, esce un nome…. Punta Scorno e poi subito altri lo seguono, come una raffica di mitraglia …. Cala d’Arena, Cala d’Oliva, S. Andrea……… e così via…….
ho capito ….è vero, ho sbagliato e correggo subito la rotta….
Punta della Scomunica è il punto più elevato dell’isola con i suoi 408 metri sul livello del mare, chi vi giunge permette alla vista di spaziare per osservare il vicino faro di Punta Scorno e, quando il vento, l’aria e le temperature lo consentono, di raggiungere visivamente a nord la Corsica e a sud la lontana costa dell’isola madre, con Capo Falcone.
Una vista che da sola ripaga delle fatiche per raggiungere il punto di osservazione privilegiato.
Origine del nome
Il toponimo, come spesso accade in genere e quasi sempre all’Asinara, nasconde leggende e superstizioni che avviluppano coloro che subiscono il fascino dell’isola.
Si dice che moltissimo tempo fa un commerciante all’ingrosso, in una notte di tempesta dopo una lunghissima trattativa infruttuosa abbia condotto sull’isola un prete e, disperato, per costringerlo a vendergli la sua anima, lo lasciò senza cibo ne acqua su un piccolo scoglio affiorante.
Dopo i trenta giorni “canonici”, si fa per dire, il commerciante tornò sull’isola per riprendersi l’anima del prete che nel frattempo, per le privazioni, era dipartito lasciando sul posto solo il suo spirito in una forma così leggera da permettergli di camminare sull’acqua.
Accortosi dell’arrivo del commerciante, lo spirito del prete si armò di una croce costituita dalle due parti di un remo tenute insieme dalla rete da pesca, e si diresse decisamente verso la nave fiammeggiante che conduceva allo scoglio il commerciante-caprone.
Davanti all’effigie religiosa il commerciante non potè fare altro che sprofondare nel blu marino per raggiungere, tra fumo e fiamme e ribollir di onde, gli antri demoniaci e dall’enorme foro prodotto sul fondo del mare fuoriuscì tanto materiale da costituire l’isola culminata con la sua più alta cima, la “Punta della Scomunica”.
Meno fantasiosa e più realistica è invece la tesi tratta dal racconto di uno studioso torinese il Generale Alberto La Marmora ( 1789 – 1863) un appassionato naturalista, cartografo e politico italiano che ci ricorda un’altra probabile origine del toponimo. Durante la sua lunga permanenza in Sardegna Alberto La Marmora, fratello del più famoso Alfonso (Presidente del Consiglio nel 1859 dopo Cavour) scrisse due libri, il primo dei quali, “Voyage en Sardaigne”, pubblicato a Parigi nel 1826 che ha costituito probabilmente l’opera più famosa tra i resoconti di viaggio dell’Ottocento.
E’ comunque questo testo una pietra miliare per la descrizione scientifica della Sardegna cui si ispirarono a decine gli autori che vollero descrivere ed approfondire parti delle caratteristiche della regione.
Riferendosi all’origine del nome “Punta della Scomunica” il naturalista scrive che gli fu raccontato che “una volta, siccome l’isola era infestata dalle cavallette che divorano ogni cosa, si fece venire da Sassari un frate in odore di santità, il quale salito sulla cima esorcizzò gli insetti che all’istante, inchinandosi alla sua ingiunzione, si precipitarono in massa nel mare vicino.”
Voglio ringraziare espressamente Pier Mario Scano, medico di professione e con due passioni smodate, nell’ordine l’Asinara e la fotografia.
Le immagini che Mario ci propone sono di rara bellezza.
PUNTA DELLA SCOMUNICA di OTTANT’ANNI FA’ (19.06.2019)
Le immagini che allego sono attuali, scattate, in una giornata non proprio soleggiata, da Gianni Piano, appassionato dell’isola dell’Asinara.
Bisogna ricordare che il luogo Punta della Scomunica con i suoi 408 metri sul livello del mare è il punto più elevato dell’intera isola e durante la guerra mondiale è stata utilizzata dagli eserciti come punto di avvistamento remoto di eventuali imbarcazioni con intenzioni aggressive nei confronti dell’Italia.
Ma è Gianfranco Massidda, con il suo immenso repertorio fotografico, che si cura di non farci dimenticare anche questo tipo di utilizzo del manufatto mostrandoci, attraverso le foto del padre, lo stato dei luoghi nel lontano 1940 e negli anni successivi.
Nel 2016 Gianfranco mi mostrò le immagini dell’epoca di Punta della Scomunica, scattate dal babbo, Guglielmo, un grande fotografo dell’Asinara, quando gli apparecchi fotografici e le immagini erano più rare dell’Asinello bianco.
Una parte delle immagini di Guglielmo Massidda sono state pubblicate dalla nipote, Marina Rita Massidda, in un testo fotografico.
Le foto di Gianfranco Massidda che ringrazio per la gentile concessione, nel 2016 hanno subìto, da parte mia, un restauro grafico per renderle visivamente compatibili con la presente pubblicazione e ci mostrano, sia pure in modo parziale, l’esterno e l’interno del manufatto, oggi ormai quasi completamente crollato, in cui alloggiava la guarnigione di militari addetti alla sorveglianza.
Qui sopra (la foto è del 1940) sono rappresentati tre componenti della Marina Militare Italiana con le mitragliatrici in dotazione all’avamposto.
Nell’immagine a lato Guglielmo Massidda è accanto all’ottica di lunga portata che consentiva l’avvistamento dei mezzi aerei e navali a grandissima distanza.
Nella terza ed ultima fotografia scattata nel 1942 si noterà come la composizione della guarnigione fosse variata, la Marina Militare Italiana aveva lasciato la sede e le funzioni di sorveglianza e segnalazione al Corpo degli Agenti di Custodia, allora alle Dipendenze del Ministero dell’Interno.