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Gli addetti al Caseificio rientrano in cella dopo la giornata di lavoro.
(c.h.1960)
Gli addetti al Caseificio rientrano in cella dopo la giornata di lavoro. (c.h.1960)

Il caseificio di Cala d’Oliva

Il  caseificio, collocato in uno dei punti più panoramici di Cala d’Oliva, fino al 1983  utilizzava per la caseificazione, tecnologie ottocentesche che sovente, a causa delle muffe sviluppatesi durante la caseificazione, procuravano un prodotto che doveva essere venduto rapidamente, pena il rigonfiamento delle forme.
Anche le assi in legno delle scaffalature dei locali in cui venivano tenute per la stagionatura erano intrise di muffe e di spore che giungevano fino ad attentare alla salubrità del prodotto.

l'App.to Vincenzo Denofrio nella Cantina. (immagine Piera Denofrio)

l’App.to Vincenzo Denofrio nella cantina rinnovata. (photo Piera Denofrio)

Il latte, di tre tipologie (ovino, caprino e bovino) veniva miscelato prima di essere caseificato, ne risultava un prodotto di discreta qualità, a volte con qualche difetto.
La salatura del formaggio, prima della ristrutturazione, avveniva a secco, come si osserva nell’immagine di apertura dell’articolo.
I “doppifondi” (enormi contenitori dove veniva versato a mano il latte da lavorare) erano in origine tre, uno, durante la ristrutturazione ad opera della Ditta Magnabosco vincitrice della gara d’appalto, fu sacrificato per inserire la “polivalente” cioè un doppiofondo sopraelevato e perciò in grado di alleviare la fatica degli operatori (il latte veniva pompato nel contenitore) e permetteva di realizzare più lavorazioni con l’ausilio dell’agitatore e della “lira”(1) automatizzata. In questo modo anche lo scarico della cagliata, per caduta, era notevolmente agevolato dall’altezza del doppiofondo.

sala latte con indicaz. 2002

 

1983  Si modifica la tecnologia per la produzione del formaggio.

Le nuove strutture del caseificio di Cala D’Oliva avevano trasformato l’attività casearia, razionalizzandone la produzione con criteri che tendevano a replicare, in tutto e per tutto, l’attività di una moderna struttura casearia. La Direzione si mosse decisamente verso il rinnovo del Caseificio con l’intento di offrire, a chi prestava la propria opera, una qualificazione professionalmente elevata, maggiormente spendibile, una volta giunti alla liberazione, sopratutto nella società civile.

Il personale addetto giungeva a lavorare, nei periodi di punta primaverili, circa 2.000 litri di latte al giorno, producendo tre differenti tipologie di formaggio che l’Amministrazione, una volta stagionato, vendeva al personale ed in occasione delle festività anche agli stessi reclusi.

Il latte veniva controllato dal momento della mungitura nelle stalle di Campo Perdu e di Trabuccato, che disponevano di contenitori refrigerati per la conservazione, mentre la Diramazione di Case Bianche conferiva il latte direttamente vista la breve distanza.
Una volta giunto al caseificio l’acidità del latte era valutata e, se necessario, si procedeva alla sua correzione con l’innesto dei fermenti lattici selezionati, poi con introduzione del caglio si iniziava la vera a propria lavorazione.

Le produzioni del caseificio davano origine ai seguenti tipi di formaggio:

– di Pecora – prodotto con latte di pecora puro, con acidità verificata e corretta,

pecorino sardo (immagine di repertorio)

pecorino sardo (immagine di repertorio)

tramite innesto di caglio si procedeva alla formazione della cagliata, alla sua rottura, la discesa della massa nelle forme di sgocciolamento, la salatura in salamoia, la stufatura e pressatura dolce, infine si metteva il formaggio a stagionare per novanta giorni, nei locali risanati della cantina del Caseificio;

– di Vacca – prodotto con latte bovino con acidità verificata ed eventualmente

(immagine di repertorio)

(immagine di repertorio)

corretta, caglio, maturazione della cagliata, ricottura nel siero, sino ad ottenerne una pasta filata con la quale si confezionavano le “perette” famosissime per il loro sapore che venivano poste ad asciugare, legate in coppia ed appese in alto nel locale del burro (vedi immagine del locale);

– di Capra – prodotto con latte di capra in purezza con tecnologia simile a quello di pecora. Questo formaggio per il suo odore consistente risultava poco gradito all’acquirente. Per cui si sono sperimentate forme di produzione di caprini (tipo camembert e brie francesi) ben riuscite con ottimi risultati, molto apprezzati.

Camembert (immagine di repertorio)

Camembert (immagine di repertorio)

Scarico della Ricotta (immagine di repertorio)

Scarico della Ricotta (immagine di repertorio)

Una trattazione particolare meritano invece la ricotta ed il burro prodotti dal Caseificio di Cala d’Oliva perchè il tipo di pascolo con cui il bestiame si alimentava, l’assenza di manipolazioni nonchè la freschezza conferivano a questi c.d. “sottoprodotti” caseari caratteristiche organolettiche di qualità indubbiamente superiori.
Il burro veniva lavorato soltanto in occasione delle feste poiché la sua produzione diminuiva notevolmente la resa del formaggio ed il colore paglierino (senza aggiunte) era meno intenso di quello abituale cui l’industria ci ha abituato.[/box]

Gli addetti al Caseificio rientrano in cella dopo la giornata di lavoro. (c.h.1960)

Gli addetti al Caseificio rientrano in cella dopo la giornata di lavoro.
(c.h.1960)

Questo pezzo di archeologia casearia è stato per me, come per molti nominati nel brano, qualcosa in più del nostra attività lavorativa. E’ stata  una parte di vita, di quella vita così intensa e altrettanto incomprensibile per coloro che ancora si sorprendono quando dico che “non mi sono mai annoiato un solo minuto all’Asinara“.

Il Caseificio di Cala d’Oliva, ripeto, è stato anche una modalità, per coloro che hanno lavorato in questa attività, per progredire professionalmente  e culturalmente.

Per questo, a mio modestissimo avviso, il Caseificio andrebbe correttamente ristrutturato e trasformato in una installazione didattico – museale, integrato organicamente nel percorso degli Osservatori della Memoria che si stanno predisponendo sull’isola.

Seguire le persone che, all’epoca, scontarono all’Asinara il loro debito con la società e verificare se la “scuola casearia dell’Asinara” senza professori e senza banchi, oltre a sfornare buone caciotte, gli sia stata utile nel prosieguo delle loro vite, sarebbe estremamente interessante, ma come spesso dico queste sono altre storie!

Ho sempre ricercato immagini e filmati che potessero documentare il lavoro che si sviluppava nel caseificio e sopratutto l’attaccamento con il quale i detenuti addetti a questa mansione, la esplicavano.


ASINARA ISOLA PROIBITA

Sono riuscito a rintracciare il bel documentario di Daniele Cini (Torino, 1955) e Maurizio Felli  (Roma, 1959) girato nel 1993 ed uscito nel 1994 per la fotografia di Maurizio Felli, con il montaggio di Antonio D’Onofrio e la musica di Renè Aubry.
Un documentario che testimonia la vita sull’isola e dal quale ho tratto spunti di ricerca e spezzoni per illustrare compiutamente e meglio di tante parole la nostra azione
.
Nella scheda del film si legge: “É la prima volta che una troupe italiana riesce a realizzare un documentario su quest’isola sconosciuta.” beh certo non era facile ottenere dal Ministero di Grazia e Giustizia l’autorizzazione per girare filmati che coinvolgessero persone detenute.

Allora ecco, per la storia dell’Asinara, una preziosa clip che mostra l’attività casearia a Cala d’Oliva, il lettore osservi e confronti le scene del documentario, con le immagini del Caseificio a quindici anni dalla sua chiusura (il parco per circa due anni dopo la sua Costituzione, ha proseguito l’attività del caseificio).

La voce narrante iniziale è quella di Vincenzo Denofrio, che abbiamo definito “il casaro di cala d’Oliva” e di cui abbiamo giù detto in precedenza in questo sito.

(1) La lira o frangicagliata è un componente della caldaia polivalente così chiamata perchè poteva essere utilizzata per più scopi (ricotta, formaggio) ed è composto da  una serie di fili di acciaio inox che, ruotando, riusciva a sminuzzare la cagliata.

lira o frangicagliata (foto di repertorio)

caldaia polivalente

caldaia polivalente

 

carlo hendel

Carlo nasce nei primi mesi del '50 e trascorre la sua infanzia a Roma, nella zona centrale della capitale, a “due minuti a piedi” da Piazza di Spagna. Di padre polacco e con la mamma abruzzese, Carlo aveva un fratello in Polonia, ed ha tre sorelle: una in Polonia e due in Italia. All'età di 22 anni si trasferisce nel paesino abruzzese di Barete e vi svolge attività libero-professionale per circa dieci anni. Consegue la nomina, da parte del Ministero di Grazia e Giustizia, alla Direzione Agrozootecnica della Casa di Reclusione dell'Asinara, evento che lo farà incontrare con l'isola e con la Sardegna. Vive e lavora con passione all’Asinara, per circa cinque anni, dal 1982. Alla vigilia della trasformazione dell’isola in Parco, partecipa come coautore, al volume “ASINARA” Storia, natura, mare e tutela dell’ambiente (Delfino Editore 1993) curato da A. Cossu, V. Gazale, X. Monbaillu e A. Torre, per la parte riguardante la Storia agricola e l’ordinamento carcerario. ------------------------------------------------------------------------------ L'Asinara non sarà più dimenticata. Blogger dal 2000 sotto vari pseudonimi, e con svariati blog. Nel 2007 pubblica una nota "L'Asinara - La storia scritta dai vincitori" con la quale, per la prima volta, rivendica per l'isola il suo "diritto inalienabile alla storia". Nel 2016 pubblica questo portale personale investendo notevoli energie e risorse solo con l'intento divulgativo e per testimoniare la storia dell'isola senza preconcetti o preferenze, per tutti i periodi e le vicissitudini attraversati dall'Asinara. Prosegue la sua attività lavorativa prima a Castelfranco Emilia (MO), poi a Roma (D.A.P.) ed infine a Viterbo ove maturerà il tempo della agognata quiescenza. All'età di 59 anni la sua vita cambia in modo importante, ma non è questa la sede propria di siffatta narrazione. -------------------------------------------------------------------------------------- Si definisce, da sempre, un ecoagricoltore e ancora oggi, produce olio biologico extravergine di oliva per autoconsumo, coltiva il suo orto con metodi esclusivamente naturali ed alleva animali da cortile. Carlo spesso ama dichiarare di aver avuto cinque o sei vite, ora ha due splendidi nipotini ed un diavolo per capello! Il resto lo lasciamo ai posteri......

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