Restituire alla società persone migliori di quelle che hanno avuto accesso al carcere è uno degli scopi istituzionali.
Se ci si riflette su, solo un momento, si comprende che questa azione possa costituire, oltre che la naturale adesione al dettato costituzionale, anche un “investimento” che consegue benefici generalizzati nel sistema penale, penitenziario e nella società esterna.
Notevole importanza viene assegnata alla cura degli affetti dei detenuti, anche attraverso politiche di sostegno alle loro famiglie, poiché mantenere legami costruttivi e coesi con le famiglie d’origine, contribuisce ad attenuare gli effetti della carcerazione.
Spiccioli d’informazione
Coltivare gli affetti familiari all’interno della struttura penitenziaria è azione di primaria importanza ai fini dell’azione costituzionale della pena.
Nel carcere i detenuti hanno il diritto ad avere dei colloqui visivi con i familiari o con parenti, oltre che con il difensore e con il garante dei diritti dei detenuti. I colloqui con i familiari sono autorizzati dal Direttore dell’istituto, solo dopo la sentenza di primo grado, quelli invece con persone diverse dai congiunti e dai conviventi sono autorizzati dal Magistrato, quando sussistono ragionevoli motivi. Le persone ammesse al colloquio vengono identificate e sottoposte a controllo personale al fine di garantire che non siano introdotti nell’istituto penitenziario strumenti pericolosi o non idonei.
Il detenuto ha il diritto a sei colloqui al mese, ciascuno di un’ora e con un massimo di tre persone per volta. Il colloquio avviene in appositi locali, senza mezzi divisori e sotto il controllo visivo del personale di polizia penitenziaria, ovviamente il detenuto durante gli incontri ha il compito di mantenere un comportamento corretto.
L’isola dell’Asinara non ha mai ospitato una sezione femminile, ma in carcere non ci sono solo persone di sesso maschile, ci sono anche donne detenute.
Secondo i più recenti dati forniti dall’amministrazione penitenziaria, al 31 dicembre 2017, su un totale di 58.163 detenuti presenti nelle carceri italiane, le donne sono 2.402, pari al 4,12% della popolazione carceraria.
Ecco cosa scrive del “Colloquio” una detenuta del Carcere della “Giudecca”:
La struttura carceraria prevede, indicandoli come affettività, i colloqui, ma davvero si può pensare che “il colloquio è affettività“? Molte volte ci vergogniamo di andare al colloquio con i nostri familiari, tanto è triste e degradante il posto.
E siamo già fortunate se il turno del colloquio l’abbiamo insieme a nostre compagne abituate a parlare con voce pacata (come noi), se ci capita il turno con qualcuna capace solo di esprimersi a voce alta è un disastro.
Quell’ora a settimana, in condizioni così assurde, a noi dovrebbe bastare per sopperire a tutti i nostri bisogni di affetto e alla necessità di comunicare con le nostre famiglie, o comunque con le persone a noi vicine.
Senza contatti fisici, senza gesti affettuosi, senza carezze, senza un bacio, perché tutto questo non è previsto dai regolamenti.
La realtà poi è ancora più cruda: del tempo consentito, quasi la metà viene trascorsa da entrambe le parti a cercare di camuffare quella sorta di imbarazzo, di disagio che inevitabilmente si viene a creare, poiché le persone che si incontrano solo in carcere perdono ben presto l’abitudine a comunicare in maniera reale e non distorta dal luogo in cui si trovano; il tempo restante è insufficiente per riuscire ad esprimere le proprie emozioni, soprattutto sotto l’occhio vigile di telecamera ed agenti.
Brano tratto dal sito http://www.ristretti.it
I locali destinati ai Colloqui
In una struttura penitenziaria chiusa, anche in quelle odierne, alcuni locali sono appositamente progettati e vengono stabilmente destinati ai Colloqui, e sono stabiliti in relazione al numero dei detenuti ristretti.
All’Asinara, quella rappresentata dalle immagini di Gian Paolo De Logu Pittalis, era la zona del Paesello di Cala d’Oliva (evidente la sua ubicazione nella planimetria Google modificata opportunamente e indicata dal colore fuxia) ove venivano condotti i detenuti che attendevano la visita dei congiunti e qui giungevano anche i familiari, provenienti dal Porto di cala D’Oliva, appena sbarcati dalla Motonave Gennaro Cantiello, dopo aver percorso il tragitto tratteggiato in rosso nella suaccennata planimetria.
Anche oggi si accede alla zona “Colloqui” attraverso un cancello, direttamente dalla Piazzetta davanti all’ex Bar di Cala d’Oliva.
Il “Rispetto della sofferenza” enunciato da Gian Paolo nella sobria presentazione dell’immagine, nella pagina fb degli “Affetti dal mal d’Asinara“, è riferito evidentemente al “portato” dell’incontro tra le famiglie e gli stessi detenuti.
Per chi non ne avesse cognizione, bisogna precisare che le famiglie, in molti casi provenienti dalle zone più lontane dell’italico stivale e, dopo il viaggio per giungere in Sardegna, dovevano arrestarsi, a volte per giorni, a Porto Torres poiché la motonave Gennaro Cantiello non viaggiava a causa del mare grosso e, quando il mare grosso non era, bensì agitato, tutti e sopratutto i bimbi, mal sopportavano la traversata non breve.
Quindi, nei giorni di colloquio, alle ore 11,30 circa si assisteva a questa fila di persone adulte, anziani, donne e bambini che, trasportando valigie e pacchi, salivano dal porto, attraversavano la piazza ed entravano nel cortile dei “colloqui” per accedere ai locali dove avveniva l’agognato incontro con i congiunti.
Ovviamente, prima del colloquio, si poneva in essere il controllo delle persone e dei bagagli per verificare la rispondenza con le norme specifiche.
Si può ben immaginare con quale spirito e con quante aspettative i familiari percorressero in salita quel breve tragitto, e con quale animo ne ridiscendessero.
Ed ecco quindi il senso compiuto della parole dell’autore dello scatto che ringrazio per l’occasione offerta di commentarlo.
Il vento che agita la palma, ha portato sorrisi, lacrime
e speranze di riaccogliere i congiunti a casa,
ha portato inoltre
rimorsi, rimpianti e le pene
di chi pagava il suo debito
alla giustizia.
27.10.2018
Ecco di seguito la testimonianza rilasciata, con un commento, da Leonardo Delogu sulle indicazioni offerte dalla palma posta sullo sfondo della precedente immagine della sala colloqui. Seduto nella veranda della mia casa intravvedo, in lontananza, l’isola.
Con il vento che soffia in questi giorni, riesco ad immaginare l’inclinazione della nostra palma! … sono sicuro che la foto sia stata scattata nel corso di una “maestralata”.
Quando il carcere era in funzione la palma di Cala D’oliva aveva il compito di fornire a tutto il personale che viaggiava, le informazioni più precise sulla situazione meteomarina e difficilmente sbagliava!
La palma era la nostra bussola, specialmente quando si montava di turno al mattino ed al termine, cioè alla sera, si doveva uscire per tornarcene alle famiglie …. dalla mattina i nostri occhi puntavano costantemente la palma, poi con l’avvicinarsi del pomeriggio si aggiungevano le telefonate e le comunicazioni via radio dalle Diramazioni più lontane che chiedevano come fosse inclinata la palma.
Quando poi il viaggio per uscire da Cala d’Oliva non era possibile, le ultime speranze degli agenti si appuntavano sulle condizioni del tratto di Fornelli.
Molte possibilità di uscire dipendevano dalle decisioni del Comandante di turno dell’imbarcazione che aveva la responsabilità della sicurezza del viaggio. In caso di mancata uscita bisognava organizzare il resto della giornata, e la cena, specialmente se “eri accasermato” (personale scapolo che dormiva nella Caserma Agenti “C. Satta” ndr).
Allora …. dopo aver avvertito le famiglie, mestamente, iniziavano a formarsi i gruppetti per organizzare la cena in mensa o in camerata dove la maggior parte degli agenti si erano attrezzati per cucinare e quindi si poteva assistere al via vai di gruppetti verso la dispensa e lo spaccio per acquistare i prodotti mancanti.
Nel periodo dei funghi, il piatto da consumare era sempre il solito.
Se il viaggio non avveniva in uscita voleva dire che il turno che doveva dare il cambio non era arrivato e quindi che bisognava organizzare il turno successivo, tenendo conto di coloro che dovevano “fare la notte” ….. e così anche per il giorno dopo, perché nessuno poteva prevedere la durata della mareggiata.
Ecco …. raccontata, sia pure per sommi capi, una piccola parte della nostra vita sull’isola e al di là di come ognuno possa legittimamente pensarla, posso affermare, senza timore di smentita, che di certo all’Asinara non ci si annoiava e tutti esprimevano affetto ed attenzione a quella palma.
Leonardo Delogu
(libero adattamento del post di Leonardo Delogu in data 26.10.2018)
La procedura (approfondimento)
libero adattamento del post dell’autrice del 26.10.2018
Le donne dei colloqui.
Me le ricordo, composte e silenziose, gli sguardi persi nel vuoto, ma complici tra loro.
Con gesti delicati si “aggiustavano” il fazzoletto da annodare sotto il mento come proponeva, al tempo, la moda.
Azzardavano un velo di rossetto per apparire più belle al loro sposo ed eliminare il pallore della stanchezza.
Controllavano i loro bambini con il vestitino” buono”, per essere ordinati e puliti.
Donne con il cuore pieno di speranze e lacrime amare da occhi dolcissimi.
Donne che per amore sfidavano il mare, quel mare che allontanava e che univa pensieri e preghiere,
tra ferro e poesie,
tra stelle riflesse sul mare,
tra voli planati e battuti di gabbiani.
Erano le mogli dei detenuti e i loro figli a carpire la mia attenzione,
quando viaggiavano sulla motonave Virtude e sulla Cantiello per raggiungere il proprio marito che scontava una condanna,
il padre che dei loro bimbi.
Pochi minuti,
pochi attimi a fronte di un viaggio lungo e faticoso,
confortato da un mare calmo che non sempre si aveva la fortuna di trovare.
Questi visi non passavano inosservati nonostante fossi prima bambina, poi ragazza e più avanti una donna.
La mia attenzione non mutava nell’ammirare la tenacia e la forza d’animo così prepotenti e smisurate.
Marina Rita Massidda
Un ringraziamento particolare a Marina Rita
Massidda che ha vissuto sino all’età adulta
al Faro di Punta Scorno all’Asinara, insieme
alla sua famiglia, e che ha voluto, anche qui,
ricordare le emozioni che l’isola ha sempre
provocato in lei.
01.11.2018