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Protocollo “Farfalla”

m0narcaNon è certo il riferimento all’insetto che appartiene all’ordine dei lepidotteri, quello che ho intenso richiamare nella denominazione dell’articolo, ma solo una modalità per rendere meno “ostico” l’argomento che, di per se è molto difficile da digerire.

La f. monarca (Danaus plexippus (Linnaeus, 1758) è una farfalla della famiglia Nymphalidae, nativa dell’America ed è probabilmente la farfalla più conosciuta, per il viaggio avventuroso di migliaia di chilometri dal Canada al Messico, che ogni anno compie.
Il percorso è stato studiato da un gruppo di ricercatori coordinati dall’Università di Washington che ha pubblicato i suoi risultati sulla rivista Cell Reports.
Tutto si spiega con le informazioni che gli insetti raccolgono attraverso gli occhi e le antenne per dirigersi verso sudovest nel loro tragitto.
Gli occhi funzionano come un “sestante”, i neuroni registrano cioè la posizione azimutale del Sole sull’orizzonte. L’altro strumento è un orologio naturale anch’esso basato sul sole, posizionato nelle antenne, che funziona grazie ai neuroni che scandiscono il ritmo circadiano, presente anche nell’uomo.

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PRESENZE INQUIETANTI

Sul documento fantasma denominato “Protocollo farfallaper decenni è stato scritto di tutto, prima sottovoce, poi a chiare lettere, certo “chiare” per modo di dire perchè se non fosse stato per le differenti Commissioni parlamentari antimafia ancora saremmo ai “si dice”.

Corriere della Sera 25.07.1977

Corriere della Sera 25.07.1977

Ho già avuto modo di scrivere più volte, da anni, di questo documento inafferrabile e ultimamente, in occasione della pubblicazione dell’articolo “Il Transito belvedere” (8 maggio 2020) quando ho trattato della uccisione dell’Educatore Mormile che prestava servizio nel  Carcere milanese di Opera (11 aprile 1990).

Nel corso del processo per la morte dell’Educatore fu diffusa l’insinuazione di una condotta di Umberto Mormile propensa a favorire i boss detenuti, sia a Parma che a Opera, ma nella sentenza di condanna non furono trovati elementi al sostegno di questa tesi.
Nel 2003 muore suicida la Direttrice del carcere di Sulmona Armida Miserere compagna dell’Educatore Mormile.

Secondo diverse testimonianze il Protocollo Farfalla prevederebbe proprio la possibilità, per i servizi segreti, di acquisire in via esclusiva, le informazioni provenienti dalle carceri di massima sicurezza, in aggiunta sancirebbe la garanzia che eventuali visite degli agenti dei Servizi segreti, nelle celle dei detenuti in regime di 41 bis rimangano fuori dai normali registri dei penitenziari.

fantesmaPerché mai i servizi d’intelligence dovrebbero avere la possibilità di gestire, in maniera invisibile alla magistratura, il loro rapporto con le persone detenute?

Solo dopo molti anni il 19 luglio 2016, durante la commemorazione della strage di via D’Amelio, in cui perse la vita il giudice Paolo Borsellino, sul palco salirono per la prima volta i fratelli di Umberto, Stefano e Nunzia Mormile.
I fratelli raccontarono quali furono le ragioni dirette ed indirette di quell’omicidio e di quel suicidio.
Ecco di seguito il filmato di quella testimonianza.

oggi: ANNO 2021

E’ il 6 gennaio, ancora non si spengono le reazioni malamente soffocate alla trasmissione “Report” di Sigfrido Ranucci che vediamo ritornare a galla il famoso, o famigerato, “PROTOCOLLO FARFALLA sul quale diverse Procure hanno indagato negli anni senza giungere a certezze.

Lo stato dell’arte vede il racconto della stipula di un “accordo” sotto la formula giuridica di “CONVENZIONE” nei primi tempi stabilita addirittura in forma non scritta e solo successivamente coagulata in un accordo formale secretato, appunto, una convenzione.

Cosa è una convenzione

Il termine ha differenti significati a seconda dell’ambito in cui si applica:

  1. è un insieme di regole sociali generalmente accettate, in sociologia
  2. è uno standard nel gioco del bridge, una modalità di dichiarazione;
  3. è un accordo tra più soggetti nel diritto;
  4. nel diritto internazionale è sinonimo di trattato/assemblea legislativa e/o costituente (es. della Repubblica francese durante la Rivoluzione);
  5. è un incontro promosso da un partito politico o altra entità;
  6. è denominata anche una organizzazione criminale (in programmi e opere filmate);
  7. è una regola convenzionale con cui vanno portati i colpi, nelle discipline sportive del fioretto e della sciabola.

Chi sono i contraenti?

Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (acronimo DAP)
L’Agenzia per l’Informazione e la Sicurezza Interna (acronimo AISI)

L’accordo Dap-Aisi viene rivelato nel gennaio 2014 in Commissione Antimafia nell’ambito di un’inchiesta sulla tenuta del 41bis, a farne cenno fu l’allora direttore del DAP Giovanni Tamburino che tentò di farsi scudo del punto 8 della Convenzione (impermeabilità alla magistratura), ingaggiando con la Presidente Rosy Bindi un vero e proprio duello.

“Le parti si impegnano a realizzare un costante scambio informativo per lo svolgimento, in collaborazione, di attività istituzionali dei contraenti nonché per favorire la ricerca informativa nei settori di competenza e lo scambio delle informazioni in proprio possesso…”.

Principio di lotta alla criminalità.

Principio di lotta alla criminalità.

Ben otto boss di mafia detenuti al 41 bis sono stati contattati in carcere da finti avvocati, in realtà agenti dei servizi, per avere informazioni. Qualcuno di loro, i familiari, sono stati anche pagati. Si tratta di Fifetto Cannella, fedelissimo dei fratelli Graviano; Rinella, capo mandamento di Caccamo quando a Caccamo era latitante Provenzano. Boss di primissimo livello.

Stemma dell'Agenzia per l'Informazione e la sicurezza interna.

Stemma dell’AISI.

Tra il 2008 e il 2012 due 007, presunti avvocati, hanno incontrato in carcere il capomafia di Bagheria Sergio Flamia. Il punto è che Flamia, quando diventa pentito e collabora, smonta l’impianto accusatorio della Procura nel processo d’Appello per favoreggiamento alla mafia a carico di Mario Mori.

I pm di Palermo, con le loro indagini, cercano risposte a questa domanda: i Servizi segreti in carcere cercavano informazioni, commettendo comunque illeciti visto che il Dap ha l’obbligo di riferire alla magistratura? O pilotavano collaborazioni?

Chi indaga sottolinea la precisa sovrapposizione tra la “convenzione”  e “l’operazione Farfalla“, una vera e propria pattuizione tra il Dap e il Sisde – iniziata, sia pure informalmente, già prima del 2004 e proseguita sotto la direzione di Mario Mori,  sulla quale successivamente si sono appuntate le critiche (assai timide) del Copasir, l’organismo parlamentare di controllo dei servizi, con una relazione.
Anche in quel caso le “penetrazioni non ortodosse degli 007” dovevano, per “Convenzione”, essere blindate alla magistratura.
Infatti le prime ”operazioni Farfalla” che mettevano sotto osservazione otto detenuti di mafia al 41bis  a detta del Copasir “sono state costruite sulla base di conoscenze personali tra i rispettivi dirigenti e direttori degli enti e non sulla base di regole precise, concordate e codificate. In effetti risultando fallimentare”, la “Convenzione” poi si tenta di stabilizzare quello che era l’obiettivo dell’”operazione Farfalla”, entrare nelle carceri senza alcun limite.

Come avviene lo scambio di informazioni tra “barbe finte” e DAP ?images-3

Il braccio operativo della Convenzione è il NIC – Nucleo Investigativo Centrale all’interno del DAP – che, secondo l’ex-direttore Giovanni Tamburino, “dispone di una sala situazione… la convenzione prevede una collaborazione da parte di questa sala situazione con l’agenzia per sue esigenze di intelligence”.

Celle aperte agli 007 dunque con la Convezione targata Dap-Aisi.1)
In barba, è il caso di dire, alla legge.

denaroDare denaro ai parenti di boss al 41 bis, per ottenere informazioni: questo in poche parole, fu uno degli aspetti più scottanti contenuto nel cosiddetto Protocollo Farfalla, siglato dal Sisde (servizio segreto italiano) 2) e dalla Direzione delle Carceri all’epoca in cui il generale Mario Mori, oggi 75enne e imputato nel processo sulla trattativa Stato-Mafia, tra 2003 e 2004.

Un accordo per raccogliere informazioni a pagamento dai detenuti per associazione mafiosa senza però far saper nulla ai magistrati e quindi avendo la possibilità di sfruttare le informazioni fornite per scopi ancora non ben precisati è la conclusione del racconto di Giovanni Bianconi sul Corriere della Sera.

Il protocollo farfalla e la trattativa sono due facce della stessa medaglia che si inseriscono dentro un problema politico e di politica criminale che lo stato italiano ha sempre avuto e cioè di controllo e di gestione dei poteri criminali”. Affermazione di Antonio Ingroia, leader di Azione civile, all’incontro “Verità e menzogne sul Protocollo Farfalla: dal segreto di Stato alle rivelazioni sull’accordo illegittimo tra Dap e Servizi Segreti”.

Immagine del Convegno "Protocollo Farfalla"

Immagine del Convegno “Protocollo Farfalla”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IL NIVA (servizio di sorveglianza esterna alla struttura penitenziaria) per riferire di questa struttura pensata per vanificare gli eventuali attacchi esterni armati alle strutture penitenziarie riporto un racconto di Gianfranco Crocco – Commissario della Polizia di Stato in Savona dal titolo:

UN’ESPERIENZA IRRIPETIBILE

Scrive il Commissario:
Per chi come me ha fatto parte del NIVA (Nucleo Interforze Vigilanza Asinara), il nome Asinara evoca ricordi, oltre che di paesaggi di incomparabile bellezza, anche di servizio di vigilanza, di pattuglie dinamiche, di problemi logistici e di personale.

Nel 1992, con l’entrata in vigore del famoso articolo 41 bis che istituiva il carcere duro per i mafiosi, venne ripristinata la sezione detta Fornelli che aveva ospitati nei cosiddetti “anni di piombo” i capi delle brigate rosse; contemporaneamente venne istituito il NIVA formato da personale della polizia di Stato e dell’arma dei carabinieri, per la vigilanza esterna sull’isola.

Per quanto riguarda la Polizia di Stato, l’organico comprendeva 50 persone tra ispettori sovrintendenti ed agenti provenienti in ugual misura dei reparti mobili di Genova e Torino, con a capo un funzionario Commissario o Vice Commissario, sempre dei suddetti reparti.

Nel corso della mia permanenza al reparto mobile di Genova fui inviato tre volte in missione, con l’incarico appunto di dirigente del contingente PS del NIVA.

La base logistica del nucleo è situata presso un albergo di Stintino, dove alloggiava anche il personale, che ogni giorno veniva traghettato sull’Asinara, per effettuare i turni di vigilanza esterna alla sezione di massima sicurezza chiamata Fornelli.

Gli uomini della polizia si alternavano con quelli dell’arma.
Il servizio consisteva nel pattugliamento automontato della parte di isola prospiciente la sezione di massima sicurezza, nonché della vigilanza statica all’interno di quattro garitte che circondavano l’edificio.

Il compito del funzionario era di non poca responsabilità. Infatti lo stesso si doveva interessare della pianificazione dei servizi, del controllo del personale e di tutti quei problemi piccoli e grandi che giornalmente sorgevano. Non si trattava, comunque di un lavoro esclusivamente burocratico, tutt’altro.
Il funzionario doveva essere spesso sull’isola in primo luogo per rendersi conto in prima persona della realtà del servizio e dei problemi che ne conseguivano, in secondo luogo per essere di sprone al personale che in taluni casi si demotivava a seguito di un servizio ripetitivo e nel caso delle garitte anche noioso.
È in queste aggregazioni particolarmente lunghe che si forma lo spirito di corpo e nascono i rapporti più genuini di collaborazione e di amicizia tra tutti i componenti del contingente.

Le strade che percorrevano l’isola erano molto accidentate, quantunque avessimo in dotazione dei mezzi fuoristrada, vi erano sovente problemi di manutenzione, proprio perché gli equipaggi a bordo dei fuoristrada pattugliavano incessantemente le adiacenze della sezione di massima sicurezza, mentre quattro persone nelle garitte intorno alla sezione effettuavano una sorta di vigilanza più ravvicinata di tipo statico.

E’ qui che ho sentito parlare per la prima volta di Matteo Boe, l’unico che sia riuscito a scappare dall’Asinara, sfidando le forti correnti del mare antistante.
E’ qui che ho visto per la prima volta Totò Riina, “Totò o curtu”, all’indomani della sua cattura, dopo una ventennale latitanza, appena sbarcato dall’elicottero che era stato utilizzato per il suo trasporto sull’isola, per essere rinchiuso in un bunker, controllato a vista mediante un sistema di telecamere dagli uomini della polizia penitenziaria.
L’isola era permeata da un’atmosfera di tensione che si avvertiva ovunque.

Tutti dal funzionario al più giovane degli agenti erano consci della responsabilità, che, seppur a diversi livelli, pesava sulle loro spalle e tutti si impegnavano a fare il loro lavoro in modo serio e professionale.
Talvolta i turni erano massacranti a causa delle condizioni atmosferiche.
Soprattutto in inverno infatti poteva capitare che, nel giro di poche ore, il mare montasse E la bonaccia si trasformasse in burrasca. Poteva succedere che i collegamenti via mare con l’isola si interrompessero a causa delle avverse condizioni meteo marine, costringendo il personale sull’isola a doppi, tripli turni fino a quando cioè le condizioni del mare miglioravano o fino all’arrivo dell’elicottero. Le responsabilità e le difficoltà del servizio non impedivano, però, di ammirare le bellezze della natura. Infatti è proprio una singolare storia dell’isola che nel 1885 in base alla legge 3183, divenne sede di lazzaretto nonché di una colonia penitenziaria ha permesso di far arrivare quest’isola intatta sino a noi e di rendere così possibile il progetto di un parco naturale… ………….
… segue la descrizione dell’isola dell’asinara 3)

 

 

 

Asinara Ph L.Amato 2020

Asinara Ph L.Amato 2020

 

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AGGIORNAMENTO otto marzo 2022

IL “PROTOCOLLO FARFALLA” continua a volteggiare dopo trentadue anni …..

Fu un delitto spietato, l’assassinio dell’11 aprile 1990 nelle campagne di Carpiano, di Umberto Mormile, 34 anni, educatore del supercarcere di Opera.

Il volantino fu firmato da una sigla allora sconosciuta: «Falange armata».
La stessa sigla che lo rivendica, comparirà nella storia della strage del Pilastro e di altri delitti della banda della Uno bianca, ma anche negli omicidi voluti da Cosa nostra del giudice Antonino Scopelliti e di Salvo Lima, e nelle stragi di Capaci, via d’Amelio, Firenze e Milano.
Ma la «Falange armata» puzza di qualcosa che non è solo criminalità e neppure solo mafia.
Qualcosa che porta dritto ai Servizi segreti, a Gladio, alle trattative che, in quegli anni, alcuni esponenti del Sisde e del Ros dei carabinieri hanno avviato con “uomini raccordo” di Cosa nostra.
Per il delitto di Stefano Mormile furono condannati i due esecutori materiali, i killer-pentiti Antonio Schettini e Nino Cuzzola, e il boss Antonio Papalia.
Per i giudici Papalia è il mandante dell’esecuzione mentre Cuzzola guidava la moto Honda 600 con la quale venne affiancata l’Alfa 33 dell’educatore carcerario mentre Schettini, killer di lungo corso della mafia milanese, sparò i colpi con una pistola.
Il movente ipotizzato?
Umberto Mormile, si disse, era un infedele servitore dello Stato, uno che faceva favori ai detenuti in carcere e si sarebbe appropriato di 30 milioni di lire senza, in cambio, far ottenere un permesso premio al fratello di Antonio, il boss ergastolano Domenico Micu Papalia.
Passano lunghi anni che però non sono sufficienti a far desistere il fratello di Mormile, Stefano dal ricercare la verità sulla morte del congiunto e sul tentativo di depistaggio dopo aver coperto di ignominia la figura di un servitore dello stato.
Passano altri anni e si affaccia il famigerato “PROTOCOLLO FARFALLA” in cui i massimi vertici dello stato avevano accordato ai servizi segreti la possibilità di accesso libero al carcere, escludendo il controllo della Magistratura di Sorveglianza.
La vettura dell'Educatore

La vettura dell’Educatore Umberto Mormile 11.04.1990 (repertorio)

A TRENTADUE ANNI dal delitto di Umberto Mormile il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, mente e anima dell’indagine, convoca diversi pentiti e riprende in mano atti impolverati che riguardano i boss milanesi dell’epoca.
Si riesaminano le deposizioni di Annunziato Romeo che parla dei rapporti negli anni ottanta tra il boss Micu Papalia e i Servizi segreti, oltre a una strana alleanza con il generale dei carabinieri Francesco Delfino (deceduto nel 2014) e con suo fratello Antonio, giornalista, tramite, a suo dire, tra le cosche di Platì e la politica.
Sono dichiarazioni inquietanti perché mostrano la forza della ‘ndrangheta già negli anni ottanta e il livello altissimo delle sue relazioni, e rivelano il profilo del boss Papalia (oggi ergastolano 76enne malato di tumore) che vanno ben oltre la narrazione di «un perseguitato dalla giustizia» che esponenti di primo piano della magistratura e della politica hanno fatto in questi anni.
Micu Papalia, insomma, non è solo un boss della ‘ndrangheta ma è uno che tesse trame riservatissime con appartenenti ai servizi segreti.

AGGIORNAMENTO 30 luglio 2022

https://www.antimafiaduemila.com/home/mafie-news/309-topnews/90852-omicidio-mormile-uno-spiraglio-di-verita-la-procura-di-milano-chiede-il-rinvio-a-giudizio.html

Trentadue anni dopo sul delitto dell’educatore carcerario Umberto Mormile, ucciso a 34 anni da due killer con sei colpi di pistola l’11 aprile 1990, si potrebbe scrivere una nuova pagina giudiziaria. Infatti il capo della Dda di Milano Alessandra Dolci e il pm Stefano Ammendola hanno chiesto per l’omicidio il rinvio a giudizio dei collaboratori di giustizia Vittorio Foschini e Salvatore Pace. L’udienza preliminare si aprirà il 30 novembre davanti al gup Maria Pollicino.
La prima svolta c’era stata lo scorso marzo quando la giudice Natalia Imarisio aveva ordinato nuove indagini e respinto la richiesta di archiviazione della Dda accogliendo l’opposizione presentata dall’avvocato Fabio Repici, legale del fratello della vittima, Stefano Mormile.
Foschini e Pace sono accusati di avere agito in concorso coi mandanti Franco TrovatoAntonio Papalia, Domenico Papalia e con gli esecutori Antonino Cuzzola e Antonio Schettini. Per l’accusa entrambi sono “rei confessi” alla luce dei verbali di loro interrogatori emersi nell’ambito dell’inchiesta ‘Ndrangheta stragista’ di Reggio Calabria.
Foschini, killer legato alle cosche calabresi, ha dichiarato al Procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo ed al sostituto procuratore nazionale antimafia Franco Curcio che l’educatore non venne ucciso perché rifiutò 30 milioni di lire per redigere una relazione favorevole in vista di un permesso di libera uscita al boss ergastolano Domenico Papalia (la “versione” messa nero su bianco nelle sentenze e raccontata da Schettini, ndr),  ma perché l’educatore (“che non era un corrotto”) aveva scoperto che Papalia aveva degli incontri con agenti dei servizi segreti in carcere senza l’autorizzazione dei magistrati. Non solo. Foschini ha anche sostenuto che i Servizi, informati dallo stesso Papalia, avrebbero dato una sorta di “sta bene” all’omicidio Mormile, raccomandandosi di rivendicarlo con una ben precisa sigla terroristica: quella della “Falange Armata”.
E l’avvocato Repici, nella sua opposizione, aveva anche chiesto di approfondire il ruolo della Falange, sigla emersa per la prima volta proprio con il delitto Mormile e che negli anni successivi si è fatta notare per aver accompagnato stragi mafiose, rivendicazioni politiche, ma anche delitti come quelli della Uno Bianca.
Nello specifico a Foschini viene contestato “su ordine di Coco Trovato di avere dato disposizioni ai sodali di fornire l’auto e una moto con cui veniva eseguito l’omicidio”.
Pace invece viene individuato come “capo del gruppo criminale che si metteva a disposizione a richiesta delle associazioni criminali di Coco Trovato e dei Papalia, fornendo supporto logistico nella fase preparatoria dell’omicidio: in particolare faceva consegnare da appartenenti del suo gruppo armi e una moto per eseguire l’omicidio dell’educatore di Opera”.

Quesiti aperti
In questi anni, comunque, ci sono diversi elementi che tanto le indagini quanto i processi non hanno mai chiarito del tutto.
Basti pensare, ad esempio, che pochi giorni dopo l’agguato dell’11 aprile 1990 Armidia Miserere, direttrice al carcere di Lodi e compagna di Mormile (trovata morta il 19 aprile del 2003 con un colpo di pistola alla testa), scrisse ai pm che curavano le indagini sull’omicidio che “L’ipotesi più logica è che Umberto sia stato ucciso perché ostacolo a un grande progetto”. A cosa si riferiva? Riguardava i rapporti di Papalia con i servizi? O l’educatore penitenziario aveva scoperto dell’altro ancora?
Inoltre non si è neanche mai capito per quale motivo vennero “depotenziate” le rivelazioni di Cuzzola, che non solo rivelò di aver saputo la reale motivazione dell’assassinio che riguardava la scoperta dei contatti di Papalia in carcere con i Servizi segreti, ma parlò anche del fatto che Antonio Papalia (fratello di Domenico) si adoperò per rivendicare il delitto proprio con la sigla della Falange Armata. Alla luce delle nuove dichiarazioni di Foschini ecco che la pista riassume forza. E magari ci sarà finalmente un processo capace di ristabilite tutta la verità.

AGGIORNAMENTO del 16 Gennaio 2024

«‘NDRANGHETA E 007, IL PIANO PER FAR EVADERE RIINA»
di Lucio Musolino

C’è un filo e c’è un puzzle.
Un filo che la Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria sta cercando di seguire.
Un puzzle che gli stessi pm hanno intenzione di ricostruire.

E poi ci sono nodi imbrogliati e tasselli mancanti o ben nascosti da oltre 30 anni. Nodi e tasselli che il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo e la Direzione investigativa antimafia vogliono sbrogliare e trovare per ricomporre uno dei periodi più bui del nostro Paese. Tracce di quei nodi e di quei tasselli si trovano nelle informative depositate nel processo d’appello “‘Ndrangheta stragista” che vede imputati il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone, ritenuto il referente della cosca Piromalli, condannati in primo all’ergastolo per il duplice omicidio dei carabinieri Antonino fava e Vincenzo Garofalo consumato il 18 gennaio 1994. Nodi e tasselli che riguardano il rapporto tra le organizzazioni mafiose e pezzi deviati dello Stato: da Gladio al protocollo “Farfalla” passando per i servizi segreti che avrebbero fornito alla ‘Ndrangheta e a Cosa nostra la sigla “Falange armata”. Barbe finte stipendiate con soldi pubblici, che hanno stretto le mani insanguinate di chi si è reso responsabile delle stragi dei primi anni novanta. Oltre ai riferimenti alla morte del maresciallo Vincenzo Li Causi in Somalia nel 1993, al tritolo piazzato al Comune di Reggio Calabria nel 2004 e alla spartizione dei proventi dei sequestri di persona tra i servizi segreti e la ‘ndrangheta, una parte dell’inchiesta della Dia tocca anche gli interessi della ‘Ndrangheta in Costa Azzurra dove ci sarebbe stato pure un incontro per discutere del progetto di far evadere Totò Riina dal carcere attraverso un gruppo di contractor.
Nelle carte finite alla Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria, però, c’è molto di più.
Viene ricostruito, infatti, l’incontro a Montecarlo tra il pregiudicato Vittorio Canale e Maurizio Broccoletti, “in quel periodo – si legge – direttore amministrativo del Sisde e, di lì a poco, al centro del noto scandalo sui ‘fondi neri’ del Servizio”.
Ma andiamo con ordine.
Sullo sfondo c’è sempre Domenico Papalia, il boss ritenuto dalla Dda il vertice nazionale della ‘Ndrangheta e per questo “pari grado” di Totò Riina. Il 16 agosto 1989, Papalia “era stato controllato a Parma dalla locale questura presso l’albergo Milano, dove aveva preso alloggio in occasione di un permesso premio ottenuto dalla casa di reclusione di Opera. Nell’occasione, aveva dichiarato di doversi incontrare con il pregiudicato Antonio Vittorio Canale, il quale ultimo, a seguito di un controllo della Squadra Mobile del luogo, veniva trovato in possesso della somma di lire 23 milioni in contante e lire 80 milioni in assegni”.
Si tratta dello stesso Canale ritenuto “soggetto di vertice della cosca De Stefano” che da decenni vive in Costa Azzurra dove il boss don Paolino De Stefano, a Cape d’Antibe, aveva una villa (“Villa tacita Georgia”) dal nome di sua figlia Giorgia. Canale, in sostanza, è un pezzo da novanta della ‘ndrangheta di Archi, ma anche un personaggio che “su quella riviera – scrivono gli investigatori – ha trascorso indisturbato la latitanza bypassando possibili estradizioni in Italia”.
“Era stato anche il dominus di alcune case da gioco francesi, rimanendo riferimento costante delle organizzazioni criminali. – scrivono gli investigatori della Dia – In questo contesto, la risultanza acquisita dalle fonti aperte in merito al festeggiamento di battesimo del figlio di Graviano ‘in un lussuoso Grand Hotel sulla promenade des Anglais di Nizza’ ci porta a una ulteriore riflessione: in quella via di Nizza è ubicato il ‘Grand Hotel Meridien’ che, all’interno, ospita il casinò ‘Rhul’”. Era la stessa casa da gioco che, stanno a un’informativa dell’operazione “Nizza” sarebbe stata controllata da Canale. In quelle carte è stata annotata “anche la consistente relazione tra il Canale e Sergio Landonio”, un pregiudicato milanese che viveva a Nizza.
In rapporti storici con la ‘ndrangheta, Landonio era un trafficante di opere d’arte diventato famoso per la truffa che rovinò Luigi Fasulo, il pilota italo-svizzero che nell’aprile 2002 si schiantò col suo piccolo aeroplano contro il Pirellone. Landonio era quindi, in contatto con Vittorio Canale. Ma era anche “in stretto collegamento al pregiudicato Michele Condoluci con il quale – si legge – ha anche legami di natura ideologica.
Entrambi hanno avuto e hanno legami con l’estrema destra, in particolare il Condoluci, che giunge a Sanremo nel 1970, risultava legato da contatti telefonici con il noto Franco Freda, del quale pare abbia agevolato la latitanza e la fuga in Francia”. I rapporti tra Vittorio Canale e Sergio Landonio sarebbero stati talmente stretti che l’uomo dei De Stefano avrebbe accompagnato il truffatore milanese anche a Gioia Tauro, da Vincenzo Zito, elemento di spicco dei Piromalli.
Ma non solo. Secondo gli investigatori della Dia, sul conto di Landonio sono emersi altri spunti di indagine collegati all’incontro a Montecarlo tra Vittorio Canale, il funzionario del Sisde Maurizio Broccoletti e un agente libico.
Questi avrebbero voluto programmare la fuga di Totò Riina.
Il collaboratore di giustizia Pasquale Nucera “aveva parlato di un acconto di 100mila dollari che dovevano servire per assoldare un gruppo di mercenari e un pilota di elicottero”. Dalle carte dell’operazione “Nizza” emerge “un’attività delittuosa del traffico di dollari statunitensi e di banconote libiche”. Traffico in cui sarebbe stato coinvolto Marco Affatigato che dalla Criminalpol viene definito “noto elemento collegato all’eversione terroristica di destra che ha specifici precedenti in materia di traffico di quella cartamoneta libica”.
Arrestato nel sud della Francia nel 2016 dopo una lunga latitanza, è lo stesso Affatigato militante di Ordine Nuovo, collaboratore dei servizi segreti e definito “l’uomo dei due depistaggi”.
Oltre a comparire nell’inchiesta sulla strage di Bologna (non emerse nulla contro di lui sulla bomba), il suo nome venne fatto dopo la strage di Ustica come “un camerata che era in missione verso Palermo” e a bordo dell’aereo abbattuto.
Ritornando all’informativa depositata nel processo d’appello “’Ndrangheta stragista”, la presenza a Nizza di Affatigato “era stata documentata a far data dal 23 settembre 1992 (Riina sarebbe stato catturato nel gennaio successivo), con l’identificazione in una banca svizzera con 4 borsoni contenenti denaro contante per complessivi 435 mila dinari libici, corrispondenti a oltre un miliardo e 876milioni delle vecchie lire”. In quel contesto investigativo, la Criminalpol centrale “non escludeva che l’Affatigato potesse essere in contatto con organizzazioni terroristiche, dedite al traffico di armi”.
Un’ipotesi che traeva origine da alcune dichiarazioni fatte dal pentito delle Br Antonio Savasta a vari magistrati nell’ambito delle cosiddette indagini “Moro ter” e “Moro quater”.

fantesmaIn sostanza, Savasta aveva “riferito che il regime libico organizzava corsi di guerriglia e terrorismo a favore delle organizzazioni eversive. Quantunque le Brigate Rosse non avessero preso parte a tale attività addestrativa, di contro vi avevano partecipato elementi della destra eversiva italiana. Tali soggetti, poi, rimanevano in contatto con i servizi libici per ovvi motivi”. ‘Ndrangheta, destra eversiva, servizi segreti italiani e servizi segreti libici.
Mondi che, all’epoca, si sono incrociati a Montecarlo da dove Vittorio Canale il 16 agosto 1989, con parecchi soldi in contanti, si è spostato per andare a Parma e incontrare il boss Domenico Papalia in permesso premio.
Mesi dopo, nell’aprile 1990, è stato ucciso l’educatore del carcere di Opera Umberto Mormile al quale, stando al collaboratore di giustizia Vittorio Foschini, i Papalia offrirono 30 milioni per corromperlo. “Lui si rifiuto. – spiegò il pentito – e aggiunse: ‘Non sono dei servizi’”.
Mormile aveva denunciato i privilegi di cui godeva il boss Papalia in carcere dove, “a cadenza periodica”, riceveva le visite anche Vittorio Canale registrato nell’elenco dei colloqui come “Canali Vittorio, Canale Vittorio e Canale Antonio”
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Tutte visite “da intendersi riferibili al Canale Antonio Vittorio, con la dicitura ‘cugino’ e l’annotazione ‘autorizz. Direttore”.
Ovviamente tra il destefaniano Vittorio Canale e il boss di Platì trapiantato a Milano Domenico Papalia “non è emerso alcun legame di parentela”. Storie che si intrecciano e puzzle ancora incompleti.
Nodi ancora da sciogliere e tasselli da trovare e incastrare per la Procura di Reggio Calabria che sta seguendo un filo che passa anche dai rapporti tra “Canale e le istituzioni deviate nel periodo delle stragi continentali”. FQ

Articolo pubblicato nel sito: https://progettosanfrancesco.it/2024/01/15/15-gennaio-1993-arrestato-toto-riina-la-belva/

AGGIORNAMENTO del 16 MARZO 2024

“L’ombra della farfalla”

l gup Marta Pollicino, con rito abbreviato, ha condannato a 7 anni di reclusione due collaboratori di giustizia, Salvatore Pace e Vittorio Foschini, finiti imputati in seguito alla riapertura delle indagini voluta dai familiari di Mormile, fratello, sorella e figlia, assistiti dal legale Fabio Repici.

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Legenda:
1) S.I.S.DE – Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica (S.I.S.De.) Istituita con la riforma dei sistemi di informazione per la sicurezza italiani del 2007
2) A.I.S.I. – L’Agenzia informazioni e sicurezza interna è l’organizzazione di investigazione informativa, delegata alla sicurezza interna della Repubblica Italiana, ha sostituito il S.I.S.De.
3) Testo parziale tratto dal mensile “FIAMME ORO n°3/4 del 2001 autore Gianfranco Crocco dal sito www.assopolizia.it

carlo hendel

Carlo nasce nei primi mesi del '50 e trascorre la sua infanzia a Roma, nella zona centrale della capitale, a “due minuti a piedi” da Piazza di Spagna. Di padre polacco e con la mamma abruzzese, Carlo aveva un fratello in Polonia, ed ha tre sorelle: una in Polonia e due in Italia. All'età di 22 anni si trasferisce nel paesino abruzzese di Barete e vi svolge attività libero-professionale per circa dieci anni. Consegue la nomina, da parte del Ministero di Grazia e Giustizia, alla Direzione Agrozootecnica della Casa di Reclusione dell'Asinara, evento che lo farà incontrare con l'isola e con la Sardegna. Vive e lavora con passione all’Asinara, per circa cinque anni, dal 1982. Alla vigilia della trasformazione dell’isola in Parco, partecipa come coautore, al volume “ASINARA” Storia, natura, mare e tutela dell’ambiente (Delfino Editore 1993) curato da A. Cossu, V. Gazale, X. Monbaillu e A. Torre, per la parte riguardante la Storia agricola e l’ordinamento carcerario. ------------------------------------------------------------------------------ L'Asinara non sarà più dimenticata. Blogger dal 2000 sotto vari pseudonimi, e con svariati blog. Nel 2007 pubblica una nota "L'Asinara - La storia scritta dai vincitori" con la quale, per la prima volta, rivendica per l'isola il suo "diritto inalienabile alla storia". Nel 2016 pubblica questo portale personale investendo notevoli energie e risorse solo con l'intento divulgativo e per testimoniare la storia dell'isola senza preconcetti o preferenze, per tutti i periodi e le vicissitudini attraversati dall'Asinara. Prosegue la sua attività lavorativa prima a Castelfranco Emilia (MO), poi a Roma (D.A.P.) ed infine a Viterbo ove maturerà il tempo della agognata quiescenza. All'età di 59 anni la sua vita cambia in modo importante, ma non è questa la sede propria di siffatta narrazione. -------------------------------------------------------------------------------------- Si definisce, da sempre, un ecoagricoltore e ancora oggi, produce olio biologico extravergine di oliva per autoconsumo, coltiva il suo orto con metodi esclusivamente naturali ed alleva animali da cortile. Carlo spesso ama dichiarare di aver avuto cinque o sei vite, ora ha due splendidi nipotini ed un diavolo per capello! Il resto lo lasciamo ai posteri......

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