Recandosi sull’isola e transitando per la strada che conduce a Punta Sabina, all’osservatore attento si presenta, alla sua destra, il muro bianco del Cimitero di Cala d’Oliva. E’ leggermente defilato rispetto alla strada che sale, sembra quasi timoroso di mostrarsi.
Dopo aver effettuato la visita al piccolissimo luogo di sepoltura dei defunti, si spinge il cancello e si esce e solo in quel momento ci si accorge della assoluta struggente bellezza del luogo.
Ne abbiamo tutti visti e visitati di cimiteri piccoli, grandi, monumentali, storici, artistici, italiani e stranieri, ma un cimitero che possa definirsi “luogo paradisiaco” mi sembra di non averne visitati mai.
Se fossi in grado di decidere, mi piacerebbe collocare, ai lati dell’entrata del cimitero, due belle panchine antiche in ferro battuto e legno ove il viandante possa sedere per spaziare e, con lo sguardo, abbracciare tutto il Golfo dell’Asinara.
Per inciso, spostando verso il basso lo sguardo nella veduta aerea (al 30 luglio 2019), risalta chiaramente il crollo parziale della copertura tetto della ex Direzione della Casa di reclusione dell’Asinara (evidenziato nel duplicato con una stella di colore giallo).
Poi suggerirei anche di dare una leggerissima spianata nella parte laterale esterna del piccolo cimitero (foto a destra) ed anche li collocherei delle panchine per lasciarmi immaginare che coloro che riposano tranquilli al suo interno possano, nelle giornate di primavera, con una bava di vento che viene da Castelsardo, sedersi tranquillamente a chiacchierare tra di loro per ricordare i tempi passati o ricordare coloro che li hanno visitati.
Troveremmo l’Ufficiale Tedesco con il monocolo ed il suono gutturale della voce, discorrere della bella giornata di sole con il piccolo bimbo di dieci anni, o il marinaio italiano che fu ripescato al largo privo di vita e privo anche della piastrina di riconoscimento tanto che sulla croce in legno il detenuto falegname riportò la scritta “Milite Ignoto”.
Ma ogni tanto, oltre a qualche soldato ungherese, potremmo trovare seduto anche il detenuto che, un poco stanco si attarderebbe volentieri a discutere animatamente sulle angherie che i compagni di pena gli avevano procurato, o di quella guardia che era molto antipatica.
Ma torniamo alla descrizione del piccolo cimitero che si mostra ai visitatori, la pesante cancellata di ferro, che impedisce agli animali selvatici di entrare, cigola nei cardini, macinando ruggine e saluta, con voce arrochita dalla salsedine, il visitatore ignaro che si avvicina alle tombe, alla disperata ricerca di un ricordo, di una lontana sensazione, di ricordare una storia……..
E di storie, quelle lapidi, ne raccontano molte a chi sa ascoltarle.
Poi ci sono le lapidi mute, quelle che non parlano più, quelle hanno timore di raccontare, quelle che hanno avuto la voce silenziata dal tempo trascorso ……
Proveremo ad iniziare a raccontarne tre in questo articolo, seguendo, a grosse linee, il criterio cronologico della data della scomparsa.
Ognuna di queste tre storie ha qualcosa in comune, il fatto che a discapito dei lunghi periodi in cui non ci si reca a trovarli, purtuttavia le persone che raccontano, ricordano con estremo affetto i loro congiunti sepolti nel Cimitero di Cala d’Oliva.
Successivamente integreremo questa storia con altre, tutte singolari, che affastellate rischierebbero di appesantire la narrazione.
FRANCESCO MASSIDDA
All’indomani della fine della Grande guerra, nel 1922 e a causa di una malattia, probabilmente uno strascico della famosa influenza “spagnola”, Francesco muore, dopo trentaquattro anni di permanenza nell’isola, ove viene sepolto e dove tutt’ora riposa.
Nel piccolo cimitero di Cala d’Oliva sulla lapide, posta a protezione dei suoi resti mortali, si legge:
Alla cara memoria
di
Francesco Massidda
i figli
da lui educati
al dovere dello studio
e del lavoro,
uniti alla madre nel dolore
posero.
N. 13.02.1857 M. 16.09.1922
Ecco Gianfranco che, durante la manifestazione Monumenti aperti del 2018, tenta di estirpare le infestanti cresciute sulla lapide che ricopre le
spoglie dei propri cari.
GIOVANNI MERCURIO
La lapide del Piccolo Giovanni, detto Giovannino è semplice, quasi scarna, fu voluta e disegnata dal padre Brigadiere degli Agenti di Custodia in servizio all’Ufficio matricola dal 1951, i funerali furono celebrati dal cappellano Don Luigi Fenu.
la lapide riporta il seguente testo:
QUI
DORME
L’ANGIOLETTO
GIOVANNI MERCURIO
N. 10 MAGGIO 1952
M. 18 FEBBRAIO 1953
……. ma seguiamo il racconto del fratello di Giovanni, il Sig. Gennaro (n. Isili 1948) che ha vissuto all’Asinara per un decennio e che ricorda:
“In questo camposanto sono molti i bambini piccoli che vi riposano e tante sono le famiglie colpite dallo stesso nostro dolore.
I bambini sono, sulla terra le anime dolci e umili, sono quelle che assomigliano più agli angeli, sono gli abitanti del paradiso, ed in paradiso mi sembrava di essere, quando, nel cimitero e proprio per la sensazione di pace che provavo, aprivo il cuore a mio fratello e gli raccontavo quello che sentivo, in particolare la mia solitudine………
e così conclude….
Vorrei inoltre che questo piccolo cimitero, storia dell’isola, diventasse patrimonio di tutti, conservato per sempre come una reliquia.
Inoltre vorrei che questo luogo, per l’affetto che ad esso mi lega, nonché per la testimonianza che può offrire alle generazioni future, non fosse dimenticato perché qui riposano tante care anime che hanno sofferto.”
Struggenti ricordi di GENNARO
Al funerale di mio fratello, per poterlo seppellire, dovettero riesumare un defunto sepolto da anni, in fondo a destra, vicino all’obitorio.
Ricordo di essere andato allora nel piccolo camposanto e di aver visto il muratore intonacare le pareti interne della tomba e colorarle di bianco perchè mio padre aveva progettato la costruzione del loculo per meglio conservare il corpo di mio fratello.
Un detenuto, che nella vita civile faceva lo scalpellino, lavorò velocemente ed in soli tre giorni scolpì il cippo di granito rosato con in cima una piccola colonna spezzata, ed al centro una croce in rilievo, seguendo il progetto che mio padre aveva voluto .
Nell’immagine che segue, scattata da IVAN Chelo il 27 agosto del 2014, possiamo visivamente riscontrare le accorate parole di Gennaro.
CONCETTA DE LORENZO
“Nel piccolo cimitero dell’Asinara, riposano anche le spoglie di mia sorella Concetta Loredana morta nel 1962 a soli 10 mesi. Ed io dopo 40 anni che mancavo dall’isola, nel 2016 le ho reso omaggio.
Mia mamma aveva sempre avuto il desiderio di portarle un fiore, ma non c’è riuscita a farlo.
L’ho fatto io per lei.”
E’ quello che scrive commosso Massimo De Lorenzo, offrendoci ulteriori informazioni circa la sua famiglia, il padre era l’Agente Eufemio Sabato De Lorenzo, ha abitato a Cala d’Oliva dagli anni sessanta ai primi settanta e poi è stato trasferito alle Nuove di Torino.
Massimo ha avuto il piacere e l’emozione di ritornare all’Asinara tre anni fa, nel 2016, per accarezzare il marmo freddo della lapide della sorellina Concetta deceduta improvvisamente per la sindrome SIDS (in inglese Sudden Infant Death Syndrome o SIDS) comunemente denominata “morte bianca nella culla”.
La sua lapide ricorda:
QUI RIPOSANO LE SPOGLIE
DELLA PICCOLA
CONCETTA DE LORENZO
26 – 01 – 1962 29 -07 – 1962