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Giovanni Falcone – Paolo Borsellino

“Mi hanno delegittimato”

Aveva detto il Giudice Giovanni Falcone in un’intervista rilasciata solo una settimana prima di essere ucciso.
Ricordo quegli anni ….  l’isolamento era assordante…….

... ma si percepiva distintamente ed oggi riesco finalmente a definire questo “stato” in modo compiuto.
Immagino lo scoppio ravvicinato di un ordigno esplosivo.       

Per un tempo indefinito, minuti …. ore, il suono, pur forte, produce una eco nei timpani sconquassati, quasi provenga dal fondo del pozzo, la mente si offusca di nebbia ovattata, consistente.
Si entra nell’anticamera della semincoscienza.
Nel petto si infiltra rapidamente l’angoscia sottile della solitudine, del mancato aiuto, dell’assenza di risposte e gli arti sono rilasciati, abbandonati, privi d’energia.

Copia di fil rougeNon voglio ripercorrere quella scia dolorosa di sangue, ma rifuggo l’idea che tante persone, di ogni levatura, abbiano immolato la loro vita, che figli abbiano perso l’affetto dei padri e delle madri, che alle mogli sia stato sottratto quello dei compagni e che le nostre cattive coscienze, insieme a quelle dei politici, si siano affrettate a collocare le immagini incorniciate, di questi eroi del nostro tempo, nel Pantheon per spolverare periodicamente le loro effigi in occasione di ricorrenze, scoprire qualche targa, recitare due frasi scritte su un foglio di carta in loro ricordo.

E poi, subito, riporle.

L’attenzione mediatica, periodicamente ricorrente, focalizzata sulle 415mila lire a testa pagate dai due giudici per il soggiorno delle due famiglie all’Asinara, resiste ancora, ma appare, sempre più ai miei occhi, solo un motivo per gettare fumo e confondere  idee, oltre che una non edificante modalità di esercitare la professione di giornalista.
Nel 2007, ero molto inquieto quando scrissi un articolo, in uno dei miei primi blog http://sinuaria.blogspot.com, perchè già si erano ampiamente diffuse notizie non vere sui due magistrati e l’Asinara, una in particolare che la “Foresteria nuova” fosse il luogo ove i due Giudici trascorrevano le loro vacanze insieme alle loro famiglie!

E’ di questi giorni la polemica con una testata on line locale che ha ripreso, nel titolo dell’articolo su Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, la storia  del corrispettivo richiesto per la loro permanenza forzata all’Asinara.

Osserviamo invece da dove inizia a srotolarsi il filo rosso-sangue che, strisciando, dalla Sicilia ci raggiunse.

1979 Palermo

Cesare Terranova, magistrato e grande osservatore del fenomeno mafioso, muore il 25 settembre del 1979 in un agguato stroncato da un colpo di grazia alla testa.  Francesco Di Carlo, esponente di spicco del mandamento di San Giuseppe Jato, uomo di fiducia di Bernardo Brusca, indicherà Luciano Liggio, come mandante ed esecutori materiali: Giuseppe Giacomo Gambino, Vincenzo Puccio, Giuseppe Madonia e Leoluca Bagarella.

 

1983 Palermo

A Terranova gli succede a Palermo Rocco Chinnici, Capo ufficio istruzione di Palermo che vara il pool, poi ridenominato “pool antimafia” cioè quel gruppo di magistrati che si occupa delle indagini di un fenomeno imponente come quello mafioso. Chinnici era convinto che le indagini sul fenomeno mafioso, condotte da uno o più magistrati in modo individuale non fosse sufficiente neppure a contrastare il fenomeno, anzi fosse destinata a non incidere in profondità il bubbone mafioso e che, invece, raggruppando funzionalmente un numero ridotto di magistrati, affiatati nel Pool, l’esposizione di colui che era stato incaricato, fosse minore e l’eventuale eliminazione, anche fisica, di un magistrato non avrebbe ritardato, ne arrestato l’azione della giustizia.

Per lui imbottirono una 126 verde con 75 kg di tritolo e la fecero saltare in aria alle otto del mattino del 29 luglio 1983 (il processo per l’omicidio indica Nino e Ignazio Salvo come i mandanti dell’omicidio).

Al Capo dell’Ufficio istruzione di Palermo Rocco Chinnici viene conferita la medaglia d’oro civile e gli subentra nell’Ufficio Istruzione Antonino Caponnetto che ricostituisce (1984) il pool antimafia con Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Gioacchino Natoli, Giuseppe di Lello poi affiancati da Leonardo Guarnotta.

 

1984 Palermo

Anche Antonino Caponnetto aveva avuto confermata la grandissima valenza del “lavoro in Pool” e della svolta che, questa modalità, offriva allo Stato di affrontare, finalmente con “speranza di riuscita“ la lotta antimafia. Anche questo magistrato era convinto che non fosse possibile condurre una lotta seria, contro un’associazione così ben organizzata come la mafia, se non coordinandosi.
C’era bisogno di riunire le forze, di non disperdere le energie. La giustizia necessitava di un pool affiatato, di un gruppo di lavoro rigoroso che si occupasse soltanto dei processi di mafia.
Il parere positivo di Giancarlo Caselli, forte di un’esperienza simile a Torino contro il terrorismo, e con Ferdinando Imposimato che aveva vissuto identica esperienza a Roma costituirono i necessari supporti alla decisione..

In tempi relativamente brevi il sistema basato sull’indagine coordinata e denominato “pool” dimostrò la sua validità con la cattura di Tommaso Buscetta che diviene collaboratore, (altro strumento importante nelle disponibilità degli inquirenti) ed offre le chiavi per decifrare le azioni mafiose e sgominare connessioni e connivenze.

 

1985     l’Asinara
In questo momento lo Stato percepisce che la preoccupazione sta dilagando nell’organizzazione criminale, un timore profondo che innesca fibrillazioni e induce la reazione dell’organizzazione mafiosa che, a questo punto decide di rispondere, facendo terra bruciata attorno al pool antimafia.

Vengono eliminati fisicamente due validissimi collaboratori del Pool, Beppe Montana che era a Capo della neonata sezione “Catturandi” di Palermo e Ninnì Cassarà, Questore aggiunto presso la Questura di Palermo.

E’ questo il momento preciso, di cui parlerà in seguito Caponnetto, in cui si prende atto che la mafia ha deciso l’eliminazione dei due Magistrati di punta del Pool antimafia, i quali, per motivi di sicurezza, vengono immediatamente trasferiti, con le famiglie, presso il carcere dell’Asinara.
Però occorre precisare che, nonostante le apparenze,  non è questo il “punto di non ritorno” per le vite dei due magistrati, poiché nell’85, pur subendo la richiesta di pagamento delle 415 mila lire a testa che l’Amministrazione penitenziaria chiede loro di pagare per la permanenza delle due famiglie all’Asinara, lo Stato ancora li protegge  attraverso l’azione del Giudice Antonino Caponnetto.

una immagine della Foresteria nuova 1985

Una immagine della Foresteria nuova 1985

I magistrati Falcone, Borsellino e le rispettive famiglie furono trasportati in tutta fretta sull’isola alla fine del luglio 1985, ma è lo stesso Caponnetto che, solo nel 1992,  lo scriverà in un articolo per il periodico agrigentino “Sudovest”, rivelando che la decisione di trasferire precipitosamente i magistrati all’Asinara nel 1985 fu dovuta ad un grave ed incombente pericolo di attentato ai loro danni, segnalato da una persona di assoluta fiducia e credibilità.
Per lungo tempo – afferma nell’articolo Caponnetto – quest’episodio rimase sconosciuto ai più e quando la notizia trapelò riuscimmo a mantenere il segreto sulla drammatica motivazione di quell’improvviso trasferimento, che la stampa ha sempre attribuito alla decisione dei colleghi di appartarsi in un luogo sicuro ed isolato, per meglio dedicarsi alla stesura della sentenza-ordinanza.

In realtà – continua Caponnetto – avendo lasciato Palermo, con la massima urgenza a poche ore dalla segnalazione ricevuta, Falcone e Borsellino non avevano alcuna possibilità di portare con sé alcuna parte dell’immenso materiale raccolto con la conseguenza che, per quindici giorni, dovettero sospendere il loro lavoro.

Ogni giorno insistevano per poter tornare al lavoro, ma glielo consentimmo solo quando fummo tranquilli sul cessato pericolo. Per quel soggiorno all’Asinaracommenta amaramente CaponnettoFalcone e Borsellino dovettero persino pagare le spese di soggiorno per loro e le loro famiglie.”

Anche quest’ultima notazione di Caponnetto, è comprensibile se si esamina il momento in cui viene scritta e tuttavia essa è veritiera poiché la Contabilità Generale dello Stato non prevede forme di “regalia”. Per questa ragione, all’atto della partenza, fu emessa regolare quietanza per i giorni di permanenza nella Foresteria Nuova di Cala D’Oliva, quietanza che avrebbe potuto essere allegata al prospetto di missione per ottenerne il rimborso che i due Giudici, evidentemente, non richiesero.

Paolo Borsellino, Claudio Lo Curto, Giovanni Falcone

Paolo Borsellino, Claudio Lo Curto e Giovanni Falcone – Asinara 1985

Intanto il Dr. Claudio Lo Curto (nella foto) frequentava l’Asinara fin dai primi anni 80 in ragione del suo lavoro di Magistrato antimafia.

Si occupava, in particolare delle indagini sull’omicidio di un altro famoso Giudice quel Giangiacomo Ciaccio Montalto massacrato a Trapani, all’età di 42 anni, dalla mafia che temeva il suo trasferimento, ormai deciso, alla Procura di Firenze. Un trasferimento che avrebbe concretamente minacciato gli interessi mafiosi in Toscana, per questo delitto nel 1998 Salvatore Riina e Mariano Agate vennero condannati all’ergastolo.

Il Giudice Claudio Lo Curto aveva fatto trasferire all’Asinara due imputati per quel delitto e per più giorni vi svoltgeva le attività giudiziarie conseguenti.

In un’intervista del 1986 Falcone afferma: “Le confessioni dei collaboratori di giustizia hanno consentito un importante riscontro a risultati probatori già raggiunti e una lettura interna al fenomeno mafioso.

Il fenomeno della dissociazione è indubbiamente utile e, a mio avviso, dovrebbe essere valutato in maniera adeguata e soprattutto regolamentato”.

A Palermo e in Italia moltissime persone odiavano Falcone, dalle portinaie ai boss, dai pensionati ai giudici. Anche da Roma era guardato con occhi pieni di rabbia e di preoccupazione.

Oggi Falcone è celebrato come un eroe ma non posso omettere di ricordare cosa si scriveva di lui negli anni 1986 e seguenti.

Il Giornale di Sicilia dipingeva i giudici antimafia come comiche figure” in pose da “novelli supereroi a caccia di pubblicità, meriti e riconoscimenti“. [Giornale di Sicilia, 30 giugno 1986].

Gli organi di stampa infatti, anche dopo il risultato eccezionale determinato dalle numerosissime condanne del maxiprocesso a Cosa nostra, mettevano in atto un massacro quasi quotidiano contro quel Giudice fuori dalle righe, quel Giudice presenzialista, che preoccupava tanti potenti.

E’ famoso l’articolo di Lino Jannuzzi che sul Giornale di Napoli così scriveva di Falcone e De Gennaro: E’ una coppia la cui strategia, passati i primi momenti di ubriacatura per il pentitismo e per i maxiprocessi, ha approdato al più completo fallimento: sono Falcone e De Gennaro i maggiori responsabili della dèbacle dello stato di fronte alla mafia”.

Anche il “Giornale” di Milano sparava, a palle incatenate, contro Falcone, ma anche “Il Roma” e “Il Sabato” non erano da meno.

Sull’Unità Alessandro Pizzorusso scriveva: “Falcone superprocuratore? Non può farlo… Fra i magistrati è diffusa l’opinione secondo cui Falcone è troppo legato al ministro per poter svolgere con la dovuta indipendenza un ruolo come quello di procuratore nazionale antimafia”.

Paolo Borsellino e la moglie Agnese nella Foresteria nuova di Cala d'Oliva. - Asinara 1985 -

Paolo Borsellino  nella Foresteria nuova di Cala d’Oliva. – Asinara

1987

Attraverso una innumerevole serie di vicende drammatiche (che culmineranno con l’attentato dell’Addaura nel 1989), sulle quali sorvolo per evitare di complicare esageratamente la storia, si giunge al 16 dicembre 1987 in cui il Presidente Antonio Giordano legge in aula  la Sentenza di condanna di Cosa nostra, emessa dalla Corte di Assise di Palermo dopo ventidue mesi di udienze e ben trentasei giorni di riunione in camera di consiglio.

L’ordinanza di rinvio a giudizio per i 475 imputati era stata depositata dall’Ufficio istruzione agli inizi di novembre del 1985!

In un’intervista del 1986 Falcone aveva affermato: “Le confessioni dei collaboratori di giustizia hanno consentito un importante riscontro a risultati probatori già raggiunti e una lettura interna al fenomeno mafioso. Il fenomeno della dissociazione è indubbiamente utile e a mio avviso dovrebbe essere valutato in maniera adeguata e soprattutto regolamentato”.

Ma l’isolamento dei Giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino non si interrompeva, anzi si intrecciava con l’azione che condusse parti dei servizi deviati alla trattativa stato-mafia che veniva in quegli anni intrapresa.

Gli avvenimenti successivi, lo vedremo, risentirono negativamente del successo ottenuto con l’utilizzo di queste nuove metodiche d’indagine poiché la piovra, per la prima volta, teme che le mozzino, ad uno ad uno, i suoi tentacoli e reagisce duramente colpendo i due magistrati prima con l’isolamento e poi con gli attentati.

gennaio 1988 (i corvi volteggiano sul Consiglio Superiore della Magistratura)

Nel gennaio di quell’anno il Consiglio superiore della magistratura, dovendo determinare la successione a Capo dell’Ufficio Istruzione, preferisce a Giovanni Falcone il consigliere Antonino Meli in sostituzione di Caponnetto che rischiava di non superare lo stress fisico a cui si sottoponeva poiché conduceva una vita insopportabile.

Antonino Meli delegittima il Giudice Falcone nonostante il tentativo di convivenza e lo stesso Pool Antimafia, infine successivamente il Capo dell’Ufficio Istruzione Antonino Meli scioglierà il pool definitivamente.

23 maggio 1992

Giovanni-Falcone-1200x925Giovanni Falcone viene ucciso da 500 kg di tritolo nascosti in un cunicolo sotto l’autostrada Palermo-Mazara del Vallo, poco prima dello svincolo per Capaci, insieme a Giovanni muoiono la moglie, anch’essa in Magistratura, Francesca Laura Morvillo e tre uomini della scorta, Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani.

francesca morvillo

scorta falcone

 

 

 

 

 

 

 

… trascorrono solo 56 giorni…

La società attendeva dalle istituzioni una decisa risposta alla mafia dopo la strage di Capaci, una risposta che non ci fu, anzi gli attacchi e l’isolamento proseguì, tristemente preconizzando la seconda tragedia.


SIAMO CADAVERI CHE CAMMINANO….

Ripropongo l’intervista il 30 giugno 1992 a poco più di un mese dalla morte dell’amico, rilasciata da Paolo Borsellino a Lamberto Sposini.
Il Magistrato riferisce dell’Asinara, dell’amicizia con Giovanni Falcone, del soggiorno sull’isola e del suo lavoro.
Risponde alla domanda del giornalista  sulla famosa diaria pagata per il suo soggiorno nella Foresteria Nuova.
Ogni tanto le parole di Paolo Borsellino sarebbero da riascoltare, con grande attenzione, poichè egli esprime tutta la sua consapevolezza della sentenza che la mafia ha emesso a suo carico.


Infatti il
19 luglio del 1992
la mafia elimina anche Paolo Borsellino e la sua scorta. Muoiono Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

Nessuno paga per quella mancanza di sicurezza nella via ove il giudice era solito recarsi in visita alla madre, ma oggi si dirada la nebbia e se ne comprende la ragione. Il giudice palermitano era contrario alla trattativa ed era stato esposto a Cosa nostra come obiettivo da eliminare, come ipotizzato dalla Procura di Palermo e dalla figlia Fiammetta Borsellino.
Assurge a simbolo di questa richiesta la famosa agenda rossa di Paolo Borsellino magicamente scomparsa in quei tragici istanti.

Il cap. Giovanni Arcangioli del Nucleo Op. Prov. dei Carabinieri di Palermo, si allontana dal luogo della strage

Il cap. Giovanni Arcangioli del Nucl. Op. Prov. dei CC di Palermo.

 

 

2019 21 maggio … ventisette anni dopo quelle stragi


Oggi il Pubblico Ministero Nino Di Matteo ad una scolaresca che partecipava al Convegno tenuto alla Camera dei Deputati, il 14 maggio 2019, per ricordare la scomparsa di Giovanni Flacone, dice:

“Il processo sulla “trattativa” attesta che mentre in Italia venivano compiute 7 stragi tra il ’92 e il ’93, vi erano parti delle istituzioni che andavano a chiedere a Riina cosa volesse in cambio per una cessazione dell’attacco allo stato.

Questo è scritto nelle sentenze.

I mafiosi hanno chiaro che è fondamentale per loro istaurare rapporti col potere, sanno che senza sarebbero già stati debellati.

Noi non abbiamo ancora completamente capito che per vincere la guerra bisogna fare il possibile in via preventiva e repressiva per recidere quei rapporti.

Sono convinto –  conclude Di Matteo – che la politica si deve riappropriare di un ruolo di primo piano nella lotta alla mafia da esercitare ogni giorno con la denuncia, la capacità di analisi, di studio e di inchiesta, evitando di attendere la chiusura delle vicende giudiziarie”.
Allora …

…. e qui ringraziando, concludo questo complesso pensiero su un periodo travagliato della nostra Repubblica, che ha visto le storie delle famiglie  di Giovanni Falcone  e di Paolo Borsellino intrecciarsi tragicamente con la storia della nostra bellissima isola dell’Asinara….

ecco …. mi affaccio idealmente da quel terrazzo della Foresteria Nuova di Cala d’Oliva, i miei occhi non guardano le belle foto incorniciate, ma si aprono al cospetto del mondo e osservano quella magica visione della Torre di Cala d’Oliva immortalata anche dalle immagini (12.05.2019) di una Rosy Rassu emozionata, una visione che ebbero davanti agli occhi Falcone e Borsellino, nei molti attimi di silenzio in cui solo l’orecchio dell’isola ascoltava, pudico, i timori inconfessabili, le paure dei figli, il terrore delle mogli.

vista falcone borsellino

Vorrei che queste modestissime riflessioni “contaminassero” profondamente la mente di chi ha avuto la pazienza di leggere fin qui, oltre che il cuore, per dedicare non solo un pensiero grato a queste due immense figure della Giustizia, ma estenderlo ai figli Lucia, Manfredi e Fiammetta Borsellino.
Credo di poter affermare che ristabilire la verità della storia, senza forzature, senza infingimenti, possa essere l’unica modalità per onorarne la memoria, ricordare gli ideali, perché questi fatti non abbiano mai più a ripetersi.

Carlo
22 maggio 2019

 

 

Aggiornamento del 10 luglio 2023 con le impressioni sulla permanenza all’Asinara.

Le impressioni della figlia del magistrato, Lucia.

Le impressioni della figlia del magistrato, Lucia.

carlo hendel

Carlo nasce nei primi mesi del '50 e trascorre la sua infanzia a Roma, nella zona centrale della capitale, a “due minuti a piedi” da Piazza di Spagna. Di padre polacco e con la mamma abruzzese, Carlo aveva un fratello in Polonia, ed ha tre sorelle: una in Polonia e due in Italia. All'età di 22 anni si trasferisce nel paesino abruzzese di Barete e vi svolge attività libero-professionale per circa dieci anni. Consegue la nomina, da parte del Ministero di Grazia e Giustizia, alla Direzione Agrozootecnica della Casa di Reclusione dell'Asinara, evento che lo farà incontrare con l'isola e con la Sardegna. Vive e lavora con passione all’Asinara, per circa cinque anni, dal 1982. Alla vigilia della trasformazione dell’isola in Parco, partecipa come coautore, al volume “ASINARA” Storia, natura, mare e tutela dell’ambiente (Delfino Editore 1993) curato da A. Cossu, V. Gazale, X. Monbaillu e A. Torre, per la parte riguardante la Storia agricola e l’ordinamento carcerario. ------------------------------------------------------------------------------ L'Asinara non sarà più dimenticata. Blogger dal 2000 sotto vari pseudonimi, e con svariati blog. Nel 2007 pubblica una nota "L'Asinara - La storia scritta dai vincitori" con la quale, per la prima volta, rivendica per l'isola il suo "diritto inalienabile alla storia". Nel 2016 pubblica questo portale personale investendo notevoli energie e risorse solo con l'intento divulgativo e per testimoniare la storia dell'isola senza preconcetti o preferenze, per tutti i periodi e le vicissitudini attraversati dall'Asinara. Prosegue la sua attività lavorativa prima a Castelfranco Emilia (MO), poi a Roma (D.A.P.) ed infine a Viterbo ove maturerà il tempo della agognata quiescenza. All'età di 59 anni la sua vita cambia in modo importante, ma non è questa la sede propria di siffatta narrazione. -------------------------------------------------------------------------------------- Si definisce, da sempre, un ecoagricoltore e ancora oggi, produce olio biologico extravergine di oliva per autoconsumo, coltiva il suo orto con metodi esclusivamente naturali ed alleva animali da cortile. Carlo spesso ama dichiarare di aver avuto cinque o sei vite, ora ha due splendidi nipotini ed un diavolo per capello! Il resto lo lasciamo ai posteri......

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