Eccoci giunti finalmente (o, spero per qualcuno, “purtroppo”) alle ultime parole del bellissimo racconto nel nostro maestro rurale nell’anno scolastico 1938 – 1939 nella Scuola “Stefano Curti” di Cala Reale.
Salvatore C. era avanti negli anni, ne aveva trentasei, quando giunse sull’isola dell’Asinara e la sua salute era assai malferma, potete immaginare quindi con quale spirito il maestro rurale intraprese la sua bistrattata attività di insegnante in un momento in cui il regime, cui peraltro egli aderiva entusiasticamente, privilegiava le arti marziali, l’esercizio della forza ed il mito della razza, in un luogo, l’Asinara, dove il trattamento privilegiato per il reo, era il lavoro forzato, in un ambito per cui il personale civile e militare era sotto l’egida del Ministero dell’Interno.
Nell’immagine che segue, gentilmente affidataci dall’archivio privato di Gianfranco Massidda che ringraziamo, riusciamo ad osservare lo schieramento ufficiale della struttura penitenziaria dell’epoca, al centro dell’immagine tre persone hanno la mano tesa nel “saluto fascista alla bandiera regia”, il primo è il visitatore tedesco di cui non si conosce il nome, il secondo, con la cravatta nera che sventola è il Direttore dell’epoca Donato Carretta, a cui ben triste fine la sorte aveva riservato. Il terzo braccio alzato, in seconda fila, dovrebbe corrispondere al funzionario del carcere, il ragioniere.
Uno dei bimbi di spalle è Gianfranco Massidda e nell’immagine potrebbe essere stato presente anche il Maestro rurale Salvatore C.
ma ecco il penultimo racconto di Salvatore C.
CAPITOLO V “il potere del gerarca”.
Per questa degna gente occorre essere gerarca vuol dire in parole povere fare i propri comodi ed affari. Rubare, come in questo caso, sul peso, vendere per 100 quanto si è acquistato per uno, non rispettare il calmiere, accampare diritti, usare qualche prepotenza e via dicendo.
Con tale mentalità borghese era logico che si stupissero dell’entusiasmo con cui ho accettato l’incarico per un corso di Cultura Fascista agli organizzati dalla Gil[1].
Questi finti vivi sono veramente curiosi:
Sparlano di strapaese, ma fanno di tutto per rimanervi; la prebenda buona, gli incerti ottimi e poi, si sa, in strapaese anche le mezze figure prendono rilievo.
Eterni nostalgici di stracittà, non si decidono a trapiantarvisi per ragioni di borsa e perché rientrerebbero nell’ombra.
Quando parli con loro non dimenticare, se ne hanno, i titoli onorifici. E’ permessa e gradita la promozione dal comune mortale a cavaliere, da cavaliere a commendatore e via dicendo.
Per far piacere a questa degna gente, tu potrai sostenere la parte di zimbello e permettere loro che la tua faccia onesta di maestro rurale diventi bersaglio di uova, patate, pomidori……
Se hai moglie e perché non chiudere un occhio certi quisquilia che in pieno novecento sarebbero anche di pessimo gusto?!
Ti occorre per esempio un cavolo? È semplicissimo! Basta una domandina scritta in stile settecentesco con la chiusa d’obbligo: Vostro umilissimo servo e con i soldi pronti ed avrai il tuo desiato[2] broccolo.
Così per tutti generi commestibili.
Ti si degna di invitarti a fare una partita a scopone? Per rispetto al padrone di casa non è bello stravincere, ma perdere dignitosamente da maestro rurale, anche se la posta è un po’ forte. Se non abbocchi all’invito ti senti in pace con tutti dormi sonni del giusto.Le tue entrate sono limitatissime, non ci sono incerti, quindi certe spacconate è bene lasciarle fare ad altri.
Molte volte penso che l’insegnante è l’essere più privilegiato; a contatto con i piccoli, ogni giorno si purifica con essi e per essi.
CAPITOLO VII “la Cultura”. (Pensieri sciolti di un maestro rurale)
A proposito di razzismo un maomettano così si esprimeva:
“Allàh ha creato il caffè, a creato il latte, ma non ha creato il caffellatte”
Anche gli alunni risentono dell’ambiente. Tendono a conservare le distanze anche a scuola.
Il loro gioco preferito era questo: giocare ad agenti di custodia e a detenuti.
Ho scritto queste note con ritrosia: l’argomento era troppo scottante e così lontano e diverso dal mio modo di vedere e di sentire!
Se il Signor Direttore mi chiedesse: quali letture avete fatto? Con che cosa avete nutrito il Vostro spirito? Risponderei così:
“ho ripassato, anzi studiato a nuovo, la grammatica italiana e ho letto molto dal vocabolario“.
L’insegnante
Salvatore C.
L’analisi un poco più approfondita dei racconti di Salvatore C. ci consegna la rappresentazione plastica, quasi fosse una fotografia, della struttura penitenziaria dell’epoca (1937-8), molto singolare, direi quasi inaspettata.
Le immagini che accompagnano il racconto prelevate dalla nostra pagina fb degli “affetti dal mal d’Asinara” ci sono d’ausilio nella ricostruzione ambientale.
Il Direttore dell’epoca era Donato Carretta che il 18 settembre 1944, divenuto successivamente al periodo isolano, Direttore del Carcere di Roma “Regina Coeli”, subì un linciaggio da parte della folla, venne affogato nel Tevere, recuperato il suo corpo fu appeso, a testa in giù, alle inferriate del carcere.
Non mi stanco di ripetere che probabilmente il giudizio, insito nelle parole del Maestro rurale, è conseguenza dello stato di profonda sofferenza in considerazione della malcelata oppressione esercitata da parte delle figure apicali del mondo penitenziario, quelle figure che Salvatore definisce persone “piene di boria” ovverosia “il signor sottocapo degli agenti di custodia, l’illustre comandante degli agenti di custodia e i colendissimi [3] dirigenti la colonia penale …… abituati a ragionar col ventre”.
Praticamente dal giudizio del maestro non si salva nessuno.
Solo nel brano in cui descrive la messa di natale Salvatore ci offre una idea leggera, fugace, del “detenuto“, mai della attività di lavoro che, obbligatoriamente, deve eseguire.
Le pregresse condizioni di salute (di cui il maestro parla esplicitamente in parti non riportate nel presente lavoro) lo hanno preoccupato moltissimo tanto da fargli temere di dover abbandonare l’insegnamento e Salvatore C. conclude l’argomento abbandonandosi alla retorica vigente nel momento storico:
“Una malattia ci rammenta che abbiamo un corpo e, ricordo infinitamente più utile, che abbiamo un’anima.”
NOTE A MARGINE
[1] La Gioventù italiana del Littorio (GIL) era un’organizzazione giovanile fascista, fondata il 27 ottobre 1937 (XVI dell’era fascista) dalle ceneri dei Fasci giovanili di combattimento (18-21 anni) ed aveva lo scopo di accrescere la preparazione spirituale, sportiva e militare dei ragazzi italiani fondata sui principi dell’ideologia del regime. (fonte Wikipedia)
[2] Desiato ovvero desiderato, termine deriva dalla parola “desìo” ovvero desiderio.
[3] “colendissimi” nell’uso epistolare di un tempo, onorevolissimi.
Commenti:
Probabilmente il sistema che inserisce i commenti a seguito del pezzo non è collaudato per cui le persone trovano più semplice commentare nei social, ho creduto opportuno riportare i più significativi di seguito.
Gran bel lavoro!! Complimenti alla “banda dei topi da biblioteca”, per la stesura ed organizzazione del racconto ma, ancor di più, per la curiosità e volontà di arricchire il racconto storico che riguarda l’isola e portarlo alla conoscenza degli ammalati, perlomeno a coloro che vogliono essere, più che turisti d’Asinara, veri e propri viaggiatori nella sua natura incomparabile e nella sua plurisecolare esistenza storico – politica.
Personalmente non mi stupisco affatto delle vicende narrate nella testimonianza del maestro.
Quelli erano i tempi e perciò anche l’Asinara ne è stata testimone inevitabilmente, forse ancor di più di altri luoghi, per l’uso a cui era stata destinata.
Ovviamente un regime politico fascista non poteva promuovere la cultura in senso ampio, sarebbe equivalso al proprio fallimento, al contrario aveva bisogno dell’ignoranza degli uomini (e bisogno di mantenerli in tal stato) per governarli meglio e raggiungere i propri scopi, dando loro l’illusione del prestigio e del potere.
Potere che, ovviamente, ha fatto molti danni ma che essendo sterile e fine a se stesso è poi decaduto e finito.
Inevitabile è il richiamo ai tempi odierni, dove quel pericolo aleggia di nuovo, cupo ed assai reale, non solo con alcune sfumature mai sopite in tutti gli anni che ci hanno separato dal periodo fascista all’oggi (e a questo proposito, personalmente, faccio un piccolo parallelo con l’epoca ” Cardulliana” dell’Asinara stessa). Dalla storia si dovrebbe imparare e l’uomo purtroppo, troppo spesso, non è mai un buon alunno. Perciò ben vengano i racconti come questo, fosse anche solo un piccolo ripasso, avrebbe comunque svolto il suo compito, come una piccola stella nel cielo emana la sua luce; a chi vuole guardarla, il compito di cercare la costellazione di cui fa parte, senza alcun obbligo ma con auspicabile curiosità.
il commento di Leonardo Delogu:
Complimenti, ne hai fatto un capolavoro.
Un momento triste della nostra storia , il ricordo e il tessuto della nostra identità …non ricordo chi lo disse ….(“Si possono seppellire i ricordi ma non si può cambiare il corso della storia.” Haruki Murakami
il commento di Rosy Busch:
Incredibile proprio perché documentalmente vero!
Attendo con ansia prossima puntata. Intanto grazie a Carlo per questo regalo di mezza estate.
e successivamente:
Veramente un bel racconto con uno spaccato del mondo penitenziario datato, ma per certi versi non così lontano da quello attuale.
Grazie Carlo
Bravissimo come sempre
Purtroppo la nostra bella isola ha visto tanti momenti bui ed è giusto ricordarli e farli conoscere alle generazioni future…Ancora grazie…
e quello di Liliana Pirisi:
Anche questo è un “vissuto” dell’Asinara.
Grazie Carlo, emozionante come sempre. Un abbraccio, Liliana