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Le ciliegie dell’agronomo dell’Asinara

Iniziamo questo ennesimo “film” dell’Asinara, narrando di una lunghissima storia d’amore che si dipana attraverso i ricordi, falsati dagli stati d’animo, dal tempo che lentamente trascorre, dalle differenze di punto vista dei protagonisti.
E’ la prima parte del viaggio di una persona e della sua isola negli anni: insieme e divisi, felici, infelici, innamorati tra loro, innamorati di altre isole, in un unico fiume di intense emozioni e  di vividi colori. La trama rivela che è possibile un amore che duri, lei, l’isola impara invece la nostalgia.
Ma anche i ricordi sia quelli del protagonista che quelli dell’isola cambiano col tempo: sbiadiscono, oppure si saturano di gioia, in un presente che scende dolcemente via con le lacrime, per raggrumarsi in memoria.
Indagare in quale modo il ricordo “farcisca” la nostra esistenza, è un tema affascinante da trattare poiché la riflessione ci permette di raccontare oltre alla vita, anche l’esperienza della vita: cioè di realizzare quello che l’ambiente cinematografico definisce un film in “soggettiva emotiva“.
Spero che la storia dei personaggi che questa volta mi accingo a narrare entri in risonanza con i ricordi e le emozioni di ognuno dei bonari lettori che vorranno conoscerla, essendo, secondo me, anche la nostra vita, un unico flusso indistinto di sensazioni e di memoria.
 

CILIEGIE – Colomo

ciliegieSovente accade di essere davanti ad un cesto (ormai i cesti non si usano più) ricolmo di ciliegie appena raccolte, il bimbo,  attratto dal colore brillante ne assaggia una, poi ne prende un’altra dopo aver sputato il nocciolo, buone, buonissime……

Dopo aver a lungo scritto di strutture penitenziarie, di passeggi, di delitti e conseguenti pene, di strutture dedicate al contenimento delle persone, di Storia, con la “S” maiuscola, che spesso ha intersecato la storia degli avvenimenti italiani, questa volta vorrei tornare a rappresentare uno stato d’animo diffuso, a raccontare qualche breve episodio della vita di tutti i giorni sull’isola che ha avuto come soggetto “il detenuto”.

Molti mi sollecitano e me lo chiedono sopratutto coloro che, quella vita, è stata parte importante della loro vicenda personale. Spero di riuscire a restituire a queste persone un briciolo di ciò che è stato il nostro mondo.

Però è qualche tempo che mi frulla in mente un nome, il nome di un detenuto, uno tra i tanti, e quel nome è Pietro Colomo  (ovviamente ho introdotto modifiche in modo da rendere non identificabile la persona).

attrezzi muratoreUn detenuto “sconsegnato”, una persona che godeva dell’assoluta fiducia dell’Amministrazione Penitenziaria.

Non ricordo il reato per il quale Colomo fosse stato condannato e non mi sovviene neppure la pena che doveva scontare, ma se anche ricordassi questi due elementi, sicuramente non li confesserei neppure sotto tortura, poichè per me e per molti, ogni detenuto nella Casa di Reclusione dell’Asinara era solo colui che pagava il suo debito con la società, per l’azione commessa.

Questa condizione rendeva le persone, di fatto simili una all’altra, per cui li distingueva solo il nome, Francesco, Giovanni, Michele, bello brutto, alto basso, scaltro, sfaticato.

Colomo invece spiccava, 45enne, di mezza statura, discretamente atletico, ma di quella atleticità conferita dall’uso continuo delle braccia e delle mani, sapientemente dirette dalla sua mente pronta.

Lo ricordo spesso con una patina bianca in viso, polvere di materiali edili.  Colomo era impiegato, come posizione di lavoro, nella MOF (Manutenzione ordinaria fabbricati) in quel capitolo di spesa con il quale veniva remunerato, un capitolo che, tra l’altro, ricomprendeva tutte le persone che lavoravano come manovali e muratori, fabbri, elettricisti all’interno delle strutture penitenziarie. metro asinara

Lui, metteva in pratica le indicazioni tecniche che il Brig. Lorenzo Spanu via, via, forniva, ma essendo, nella società libera, evidentemente un “capomastro”  cioè un operaio specializzato, un artigiano di notevole capacità, Colomo detenuto non aveva perso la capacità di guidare, con autorevolezza, altri detenuti non particolarmente specializzati come carpentieri, muratori e manovali, nella ripartizione dei compiti, nell’organizzazione del cantiere e nella realizzazione “dall’A alla Z” di qualsiasi manufatto edile.
A seconda del lavoro da eseguire Colomo richiedeva al Brigadiere Spanu l’assegnazione, alla sua squadra, del numero necessario di persone, non uno di più, e difficilmente sbagliava nella scelta dei più bravi, dei volenterosi.

I lavori con Colomo scorrevano e le difficoltà si superavano con ogni mezzo.

Dalla tasca posteriore destra dei suoi pantaloni sbucava l’immancabile metro e dietro l’orecchio faceva capolino una matita da muratore rossa sempre appuntita a dovere.
Come un qualsiasi capomastro Colomo curava anche la sicurezza dei “suoi” operai, eh si perchè quelli erano i “suoi” operai e, ad appoggiarlo nelle richieste, trovava sempre il Brigadiere Spanu.
Brigadiè ….. tra due giorni gettiamo il solaio e servono altri puntelli ed il legno per armare la scala……….”
Aspetta Colomo, che mi prendo un appunto e poi, alla fine del giro, passo in ragioneria per chiedere al Ragionier Insalaco di fare l’ordine!!!” rispondeva, dalla campagnola il Brigadiere Lorenzo Spanu.

sala latte con indicaz. 2002Ricordo in modo particolare Colomo mentre, con la sua squadra, eseguiva i lavori di ammodernamento del Caseificio di Cala d’Oliva. Furono lavori che lo coinvolsero molto poiché bisognava inserire la rete dell’acqua calda e del vapore in una struttura antica, tentando di salvaguardare il più possibile le parti pregiate, come il pavimento in granito della sala lavorazione del latte, cui vennero assegnate le opportune pendenze per permettere la rapida pulizia, prerogativa fondamentale di un Caseificio moderno che voleva essere degno di questo nome.
Coloro (sono tanti) che hanno affinato la tecnologia casearia all’interno del Caseificio dell’Asinara, una volta scontata la pena dovevano essere in grado di lavorare proficuamente in un Caseificio esterno.

Caterpillar D9

Caterpillar D9

ciliegieCILIEGIE – Bassoli
Come le ciliegie il nome di Colomo mi sollecita il ricordo di un altra persona, un trattorista che, si diceva, fosse, nella vita civile, un pilota d’aerei, per lui solo il cognome “Bassoli” era una garanzia di successo di ogni lavoro che gli si affidava, era addetto ai mezzi terresti, in grado di condurre in modo egregio, dalla bicicletta (che non aveva), al più mastodontico Caterpillar D9 un ammasso di ferro del peso di 50 tonnellate.
Bassoli era come il D9, mastodontico.
Era per tutti solo e soltanto Bassoli, non era solo un cognome …. era lui, taciturno, ma mai accigliato.
Aveva il “suo“camion della polizia in disuso, ceduto al Ministero della Giustizia (singolare vedere un detenuto che guida un camion della Polizia in cui erano state coperte le scritte, ma la cui foggia era rimasta inconfondibile).
Quando, in autunno, si doveva procedere all’aratura della piana di Fornelli, Bassoli caricava sul pianale il D9 con un aratro gigantesco e, appena dopo che il primo raggio di luce colpisse Cala d’Oliva, avviava il motore e partiva rombando,  arrivava a Fornelli dove iniziava immediatamente il suo lavoro.
La sera ripartiva con il suo camion, privo del pianale e del D9, per fare rientro alla Diramazione di appartenenza, la Diramazione Centrale.
Fintanto che la piana di fornelli non diventava marrone scuro, Bassoli continuava imperterrito giorno dopo giorno, il suo duro lavoro.
Ed ogni giorno, lungo il tragitto, sia alla sbarra di Campo Perdu che a quella di Trabuccato (perchè nelle due località erano state collocate punti di controllo e la sbarra veniva sollevata manualmente) gli agenti in servizio segnalavano doverosamente il passaggio del camion di Bassoli, annotando sul registro l’orario del passaggio.
Bassoli riuscì da solo e con le chiavi in dotazione a sostituire una maglia del cingolo del D9 (foto allegata) sotto il sole ed in piena campagna a Fornelli.

Maglia del cingolo del D9

Maglia del cingolo del D9

Per i non addetti, la sostituzione di una maglia di un cingolato qualsiasi, comporta lo smontaggio dell’intero cingolo, del peso di qualche decina di quintali.

ciliegieCILIEGIE – Francesco Spano

Al termine di questa carrellata voglio presentare un’altra persona, ancora un “trattorista” di nome Spano Francesco, era il 1985 e di questo tipo di detenuti ve n’erano molti, i volti e i loro nomi sono tutti stampati nella mia mente, ma Spano lo ricordo, oltre che per la sua modestia e la capacità nell’esecuzione di qualsiasi compito collegato ad ogni tipo di automezzo,  anche per un episodio che accadde un lunedì.

Nella Direzione della casa di Reclusione dell’Asinara per il personale civile era stato introdotto l’orario di lavoro cosiddetto “compattato”, cioè le trentasei ore canoniche previste dal Contratto Collettivo di Lavoro si coprivano spalmandole su cinque giorni, dal lunedì al venerdì compreso. Terminata la settimana di lavoro, il venerdì sera, chi poteva, usciva dall’isola, mare permettendo, per “prendere un poco d’aria” e non certo a causa dei ristagni di vento, che, all’Asinara, certamente non mancava. Lo si faceva sopratutto perché trascorrere anche il sabato e la domenica con le stesse persone con cui si aveva la fortuna di vivere tutta la settimana, a lungo andare era difficilmente sopportabile.

Dr Cossu 9 copiaIl lunedì mattina però tutto il gruppo, molto assonnato, di agenti e graduati della polizia penitenziaria “montanti” e di personale civile che rientrava dal fine settimana, si dava appuntamento sulla banchina di Porto Torres da dove, alle 6 in punto, mollava gli ormeggi la Motovedetta della Polizia Penitenziaria, per dare inizio al turno di servizio di vigilanza costiera, ed in quella occasione effettuava aggiuntivamente il trasporto del personale.
Quella mattina il Comandante Andrea Quattrocchi mi prese da parte e mi disse “Guardi che il Direttore le vuole parlare!”.
Nel 1985 i telefoni cellulari fortunatamente ancora non avevano invaso pesantemente le nostre esistenze e però questa comunicazione informale mi sorprese non poco.

Quel lunedì non fu agevole appisolarsi durante la traversata e non per le condizioni del mare che, ricordo, era una tavola.
Al Porto di Cala d’Oliva si arrivava alle 7,15 e mi attendeva una sorpresa.
Allo sbarco appresi immediatamente che il sabato precedente, la ditta che aveva vinto l’appalto per la fornitura dell’impianto di potabilizzazione da posizionare sopra la Diramazione Centrale, aveva scaricato al Porto di Porto Torres, il materiale necessario all’installazione e la parte più voluminosa era costituita da un silos metallico della dimensione di circa sette metri di altezza, una circonferenza di 2,50 metri del peso di svariate decine di quintali.
La motonave Gennaro Cantiello, dopo aver effettuato il trasporto all’Asinara, aveva deposto il silos sul pontile di Cala d’Oliva in attesa di essere trasportato fino all’impianto di potabilizzazione.

Spano, il detenuto Spano, era normalmente addetto allo scarico delle merci dalla Motonave ed effettuava le operazioni con una pala gommata dotata di benna.
Da poco era giunto all’Asinara un camion cassonato acquistato per le necessità di movimentazione delle merci che giungevano in grande quantità ad ogni viaggio della Cantiello, Spano aveva assegnato anche quello.
Non si capiva come, ma la cabina del mezzo, relativamente nuovo, aveva il montante dal lato della guida vistosamente piegato.

Chiamai il detenuto Spano che, sinceramente dispiaciuto, mi raccontò cosa era accaduto.
Il sabato pomeriggio, dopo che la Cantiello era ripartita, aveva constatato che la banchina del Porto di Cala D’Oliva era rimasta deserta, di conseguenza avrebbe tranquillamente potuto procedere al sollevamento del pesante serbatoio con il braccio della benna gommata, per posizionarlo in modo da trasportarlo, in quel frangente considerò che tutta l’operazione poteva essere eseguita senza pericolo per terze persone.

L’aggancio del silos era stato correttamente effettuato a mezzo di un un cavo d’acciaio di spessore adeguato che, evidentemente provato dall’uso, al momento del sollevamento, si era sfilacciato cedendo all’improvviso. Il silos, cadendo da una trentina di centimetri aveva ondeggiato, appoggiandosi pesantemente, in questo modo, al montante della cabina del camion, deformandolo.

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Spano dopo aver reiterato le scuse, infine dichiarò la propria disponibilità a rifondere il danno all’Amministrazione, con il denaro che aveva depositato nel suo conto corrente relativo all’attività di lavoro interna alla struttura.

Salivo, con passo veloce, la strada che conduce alla Direzione (in colore vinaccia nella foto del 2018) e pensavo al rischio per l’incolumità personale che Spano aveva corso, poi immaginavo il tenore della conversazione che di li a poco avrei dovuto tenere.

Infatti  il Direttore esordì direttamente con una domanda: Allora lo paga lei il danno al camion?
Con calma risposi lapidario:”Io non ero in servizio“.
Pronta fu la replica: “E mica lo posso pagare io?” ed infine disse : Allora lo paga Spano” al che abbastanza spazientito da quella affermazione risposi: “Certo, poi lo trova lei chi salirà su un camion con la coscienza e la serietà di Spano ………  se ha sbagliato è stato sicuramente perché ha voluto accorciare i tempi di attesa e operare, senza mettere in pericolo nessuno.
La rottura del cavo è una evenienza possibile non dovuta al detenuto, si sarebbe dovuto evitare sostituendolo periodicamente prima dell’evidenziazione
dell’usura.
Quella risposta risoluta ebbe il pregio di calmare il mio interlocutore e chiesi un paio d’ore per proporre una possibile soluzione.
Rientrato in ufficio raccontai a Pina Grieco cosa era successo e le chiesi di rintracciarmi il titolare della Ditta che stava eseguendo i lavori mentre io prendevo in esame la gara con la quale si era aggiudicato il lavoro.

Ci eravamo conosciuti in occasione della visita effettuata, prima di proporre l’offerta per la gara della fornitura del potabilizzatore ed avevo potuto acquisire la sensazione di avere davanti una persona pratica che aveva a cuore la sua attività per la quale si esprimeva sempre al massimo livello tecnico.
Dopo un breve saluto lo informai dell’arrivo della merce, in un attimo gli raccontai l’accaduto al porto di Cala D’Oliva, senza omettere nulla, infine chiesi se aveva stipulato un’assicurazione che copriva i rischi di quel genere per quei lavori.
Ottenni immediatamente la risposta affermativa e l’immediata disponibilità a coprire con l’assicurazione il danno procurato da Spano che era conosciuto ed apprezzato per la serietà e coscienziosità nel lavoro.
Qualche tempo dopo il mezzo incidentato venne caricato sulla Cantiello per essere ricoverato in una carrozzeria portotorrese in attesa della riparazione.
Quando incontrai nuovamente Francesco Spano, già sapeva dell’avvenuta risoluzione dell’inconveniente e i suoi occhi espressero il miglior apprezzamento che ricevetti in quella occasione.

 

 

 

carlo hendel

Carlo nasce nei primi mesi del '50 e trascorre la sua infanzia a Roma, nella zona centrale della capitale, a “due minuti a piedi” da Piazza di Spagna. Di padre polacco e con la mamma abruzzese, Carlo aveva un fratello in Polonia, ed ha tre sorelle: una in Polonia e due in Italia. All'età di 22 anni si trasferisce nel paesino abruzzese di Barete e vi svolge attività libero-professionale per circa dieci anni. Consegue la nomina, da parte del Ministero di Grazia e Giustizia, alla Direzione Agrozootecnica della Casa di Reclusione dell'Asinara, evento che lo farà incontrare con l'isola e con la Sardegna. Vive e lavora con passione all’Asinara, per circa cinque anni, dal 1982. Alla vigilia della trasformazione dell’isola in Parco, partecipa come coautore, al volume “ASINARA” Storia, natura, mare e tutela dell’ambiente (Delfino Editore 1993) curato da A. Cossu, V. Gazale, X. Monbaillu e A. Torre, per la parte riguardante la Storia agricola e l’ordinamento carcerario. ------------------------------------------------------------------------------ L'Asinara non sarà più dimenticata. Blogger dal 2000 sotto vari pseudonimi, e con svariati blog. Nel 2007 pubblica una nota "L'Asinara - La storia scritta dai vincitori" con la quale, per la prima volta, rivendica per l'isola il suo "diritto inalienabile alla storia". Nel 2016 pubblica questo portale personale investendo notevoli energie e risorse solo con l'intento divulgativo e per testimoniare la storia dell'isola senza preconcetti o preferenze, per tutti i periodi e le vicissitudini attraversati dall'Asinara. Prosegue la sua attività lavorativa prima a Castelfranco Emilia (MO), poi a Roma (D.A.P.) ed infine a Viterbo ove maturerà il tempo della agognata quiescenza. All'età di 59 anni la sua vita cambia in modo importante, ma non è questa la sede propria di siffatta narrazione. -------------------------------------------------------------------------------------- Si definisce, da sempre, un ecoagricoltore e ancora oggi, produce olio biologico extravergine di oliva per autoconsumo, coltiva il suo orto con metodi esclusivamente naturali ed alleva animali da cortile. Carlo spesso ama dichiarare di aver avuto cinque o sei vite, ora ha due splendidi nipotini ed un diavolo per capello! Il resto lo lasciamo ai posteri......

2 commenti

  1. È un piacere leggerti!