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I ragazzi nella Sezione Transito alias "Bunker della Legalità"
I ragazzi nella Sezione Transito alias "Bunker della Legalità"

Il fenomeno dei “killer delle carceri”

Installazioone di "Libera"

Installazione di “Libera”

Installazioone di "Libera"

Installazione di “Libera”

Perchè un titolo così lontano dalle modalità usuali di pensiero e di racconto?
E perché mai iniziare un articolo che tratta temi così delicati, facendolo partire dall’immagine del maggio di due anni fà, che ritrae più scolaresche (1) di Porto Torres che parteciparono attivamente alla manifestazione “monumenti Aperti” accompagnate dalle Prof. Maria Alessandra Congiatu e Patrizia Pirino (in questa immagine i ragazzi stanno narrando la storia della struttura ai turisti che sono in visita al Reparto Transito)?

E’ presto detto, rileggendo e discutendo “Il Transito belvedere” con conoscenti ed amici, mi sono reso conto che non si poteva prescindere, nella narrazione della storia delle strutture penitenziarie, dell’Asinara e del Reparto Transito, dal ricordare le ragioni, le motivazioni che spingono l’Amministrazione Penitenziaria ad adottare decisioni di modifica dei luoghi destinati alla vita del recluso.

E’, a mio avviso, importante conoscerle.
La seconda risposta, sulla ragione della foto d’apertura, credo di lasciar volutamente fluttuare la dimanda affinché ognuno possa rispondere, se vuole, a proprio piacimento.

La mafia in particolare, ma tutte le organizzazioni criminali strutturate prosperano e si nutrono di simboli e gesti altamente simbolici.

Il fenomeno che da il titolo all’articolo, fu particolarmente diffuso all’incirca quaranta anni fa nell’ambiente criminale e definisce “un rituale,” una sorta di “punizione” con la quale si “regolavano i conti” (anche oggi è in uso) ovverosia vengono eseguite le condanne a morte di appartenenti al proprio gruppo o a strutture delinquenziali concorrenti o  di “pentiti” o comunque di persone che si macchiano, agli occhi della congrega criminale di appartenenza, di fatti gravi, quali il mancato rispetto verso il boss di turno e verso le sue decisioni.
Un implacabile delitto teso a stroncare sul nascere tutte quelle azioni che scalfiscono l’autorevolezza criminale della struttura di vertice.

La “punizione” aveva quindi il duplice scopo di eliminare si la minaccia, ma sopratutto di costituire un efficace deterrente, ovvero un esempio per i sottoposti, oltre a replicare la netta riaffermazione dell’autorità indiscutibile del capo, o dei capi.
Oggi questo fenomeno si è attenuato notevolmente, per tutta una seria di motivazioni che risiedono essenzialmente:
– nella mutata condizione operativa dei consessi criminali;
– nella variazione dei campi di applicazione delle attività criminali e
– nell’introduzione di misure legislative e prassi utili ad impedire gli accadimenti delittuosi.

IN ITALIA

Ho già accennato che la coscienza antimafia, in Italia, si sviluppa quando la politica decide di rispondere finalmente alla violenza mafiosa.
Nei periodi successivi, a noi più vicini, si verranno a diradare le nebbie e si riuscirà a scoprire  di “trattative” di “manovre”, sostanzialmente “accordi” in cui lo stato scese a patto con gli uomini delle organizzazioni criminali.

La Renault in Via Caetani

Roma – La Renault in Via Caetani 09.05.1978

Non possiamo dimenticare che il 9 maggio 1978, lo stesso giorno in cui in Via Caetani a Roma le “brigate rosse” fanno ritrovare il corpo di Aldo Moro nella famosa Renault Rossa, un giornalista di Cinisi Peppino Impastato venne ritrovato morto nei pressi di un binario ferroviario.
Il corpo, quasi irriconoscibile, era stato prima sfigurato dai sassi e poi dilaniato da una carica di esplosivo.
Inizialmente le indagini parlarono di un atto terroristico finito male e addirittura di suicidio, ma tutti sapevano che la mano dietro all’efferato omicidio era quella di Cosa Nostra.
Dovranno trascorrere ben venti anni perché nel 1998, presso la Commissione parlamentare antimafia si costituisca un Comitato sul caso Impastato e il 6 Dicembre 2000 approvi una relazione sulle responsabilità di rappresentanti delle istituzioni nel depistaggio delle indagini, un termine che ricorrerà sempre più spesso in occasione di stragi e delitti.

Del resto, se si pensa che nel Paese non è esistita, fino al 1982, una legge che punisse gli affiliati di clan e cosche, non si fa fatica a comprendere perché per tutti gli anni ’70 l’azione antimafia abbia vissuto soltanto una fase embrionale, nonostante i morti a centinaia per le strade.

scena del crimineFino a quella data, per far fronte ai delitti di mafia, si faceva ricorso all’art. 416 c.p. (associazione per delinquere). Tale fattispecie risultava del tutto inefficace di fronte alle dimensioni del fenomeno in fase di tumultuosa espansione.
L’ondata di violenza della guerra di mafia in Sicilia porta il tema nelle aule parlamentari: il deputato siciliano del PCI, Pio La Torre, presenta alla Camera, nel marzo del 1980, una proposta di legge in materia.
La sua proposta però non piace ai mafiosi che il 30 aprile del 1982, a Palermo, lo uccidono.
Il Parlamento tuttavia approva la legge Rognoni-La Torre, dal nome del firmatario ormai defunto e dell’allora Ministro dell’Interno Virginio Rognoni.
È un dispositivo di importanza cruciale con il quale, nel Codice penale, si introduce il reato di associazione mafiosa e la conseguente previsione di misure patrimoniali: il sequestro e la confisca dei beni.

È una vera e propria svolta.

Per la prima volta le mafie diventano perseguibili penalmente con una forma di reato specifico e soprattutto hanno una definizione, sancita dall’art. 416-bis del Codice.
Il dispositivo inoltre è applicabile anche alla camorra ed alle altre organizzazioni: da questo momento nessuno potrà più dire che le mafie non esistono”.

(Diacronie – Studi di Storia Contemporanea)

Cosi come nella vita libera, anche in carcere i detenuti compongono un micro-sistema sociale capace di sviluppare regole non scritte, condivise da tutti e a tutti rivolte.
Chi se ne discosta viene punito dal popolo carcerario, guidato sempre, nei reparti in cui si trovano i mafiosi, da un boss rispettato e riverito.

sangueNon è piacevole incentrare i racconti dell’Asinara quasi esclusivamente sulle azioni criminali dei detenuti (spesso romanzate e quasi mai veritiere), ma in merito al fenomeno penitenziario dei “killer delle carceri“, dopo aver rammentato, sia pure per sommi capi, le burrascose cronache italiane del decennio 1975-85 potremmo richiamare alla memoria molti fatti di questo tipo che, come è logico, suscitarono prima orrore vivo e poi allarme sociale in coloro che, via via,  li apprendevano dai telegiornali e dagli organi di stampa.
Ne cito uno per tutti poichè a torto o a ragione è stato considerato veramente disumano, era il 1981 ed il luogo è il Carcere di Nuoro Badu ‘e carros” l’attore principale è ol pluriomicida delle carceri (si è attribuito ben 67 omicidi), la vittima un boss milanese che aveva raggiunto un accordo con Renato Vallanzasca per la spartizione delle piazze di spaccio milanesi.

Il camorrista rispondeva al nome di Pasquale Barra (colui che infamò Enzo Tortora), in vita era stato soprannominato  «ò nimale» (l’animale) per la crudeltà e l’efferatezza dei delitti commessi e il 17 agosto del 1981 partecipò all’uccisione di Francis Turatello, il boss della malavita milanese, nel carcere di Nuoro, le cronache ancora raccontano che nell’immediatezza dell’uccisione Pasquale Barra strappò il cuore del componente del clan rivale e ne mangiò una parte.
La Direzione dell’Istituto, gli agenti accorsi immediatamente e più recentemente Pierluigi Concutelli, presente nel cortile quando avvenne l’efferato delitto, hanno smentito questo dettaglio raccapricciante, le  smentite però ottengono l’effetto di accrescere ulteriormente l’alone di ineluttabilità che emana la punizione e contribuiscono a terrorizzare gli appartenenti ai gruppi criminali.

INFORMAZIONI AGGIUNTIVE INEDITE
(da fonte conosciuta di cui si vuole riservare l’identità)

L’omicidio avvenne alle ore 10.35 circa nel cortile passeggi della sezione penale. L’eliminazione di Francis Turatello (detto faccia d’angelo) venne commissionata da Raffaele Cutolo che comunicò l’ordine con un messaggio su vaglia telegrafico (Il testo del vaglia era:”porta il mio saluto a Francis“) inviato ad un detenuto che non partecipò direttamente al fatto di sangue.

Materialmente l’aggressione fu messa in atto da:
Barra Pasquale – detto “o’ nimale“;
Antonino Maltese – detto “pertini”;
Faro Antonino – detto “killer occhi di ghiaccio“.
Vincenzo Andraous che si è autodichiarato organizzatore dell’agguato.

Tutti personaggi pregiudicati mafiosi e pluriomicidi.scena del crimine

La vittima fu uccisa per aver abbassato la guardia, poiché fino a qualche giorno prima dell’omicidio, aveva mostrato di fidarsi dei suoi assassini tant’è che regalava a tutti loro, articoli sportivi costosi. (segno contraddistitivo dell’agire camorrista).
Quel giorno il boss fu fulmineamente aggredito alle spalle, preso alle braccia e sollevato da terra, ciò procurò all’aggredito la mancanza di presa sul terreno. L’accoltellamento ripetuto provocò la morte quasi istantanea, il Procuratore Dr. Marcello intervenne per stabilire la dinamica dell’omicidio.

La bellissima compagna dell’ucciso apprese della morte di Francis Turatello solo al momento del colloquio pomeridiano, provenendo da San Teodoro ove trascorreva le sue vacanze.

coltelloA Pasquale Barra si attribuiscono gli omicidi di Antonino Cuomo (morto il 20 gennaio 1980), capozona di Castellammare di Stabia, e quella compiuta ai danni di Domenico Tripodo, (morto 26 agosto 1976 ) capo ‘Ndrangheta calabrese. Il 23 novembre del 1980, nel corso del terribile sisma che colpì il capoluogo campano, Barra partecipò ad una rissa nel carcere di Poggioreale che costò la vita a tre detenuti e il ferimento di otto camorristi passati ad un clan concorrente.
Pasquale Barra ha avuto un ruolo di rilievo anche nell’omicidio di Francesco Diana (morto il 1 settembre 1981), consigliere comunale socialista di San Cipriano d’Aversa, colpito con trentacinque coltellate nel carcere di Aversa.

La protezione dell’incolumità fisica di persone detenute che potevano essere fatte oggetto, per i più svariati motivi, di azioni delittuose, comportava il loro assoluto isolamento, rispetto all’intera popolazione penitenziaria; in questo modo le difficoltà disangue raggiungimento dello scopo intimidatorio verso il mondo del crimine veniva, se non vanificato, reso sicuramente più complicato.
Per queste ragioni, oltre a stabilire all’interno degli Istituti penitenziari una “riserva logistica” per appartenenti alle varie famiglie malavitose:
camorra
ndrangheta,
terrorismo politico,
sacra corona unita, etc, etc.
era di vitale importanza, al momento dell’arrivo dei nuovi detenuti, procedere alla pratica applicazione del “divieto d’incontro“, cioè seguire quella indicazione di massima della magistratura, che impediva ai componenti della organizzazione malavitosa, in competizione feroce sul territorio, di incontrare personaggi appartenenti al clan rivale, sia pure in modo occasionale o episodico.

Nei primi anni ’80 all’Asinara la maggior parte dei divieti d’incontro, tra detenuti, si verificavano tra componenti di bande camorriste dell’ala “cutoliana” la N.C.O (nuova camorra organizzata) e l’altra propaggine nascente denominata N.F. (Nuova Famiglia) capitanata dai Giuliano, i Vollero, i Bardellino, gli Zaza …

Agire, con efficacia, all’interno di queste aree di intervento presupponeva l’assoluta conoscenza delle dinamiche criminali e la contestuale possibilità di disporre di celle o gruppi di celle, in cui queste persone potevano essere detenute senza pericolo per la loro vita.
In momenti socialmente incandescenti, quando le organizzazioni criminali si combattono ferocemente per la supremazia di ampie e ricche zone di territorio in cui esercitare le attività criminali (furti, rapine, prostituzione, spaccio di droga) lievita  l’esigenza di trovare sistemazioni idonee alla tutela individuale, per cui l’Amministrazione Penitenziaria è costretta a reperire sempre maggiori spazi.
Da qui il significato di passeggi separati, corridoi  non comuni, aree di sosta ripartite per gruppi, sale colloqui suddivise.

A questo punto possiamo chiudere il cerchio sull’immagine della porzione originaria del Reparto Transito di Cala d’Oliva, proposta da Gianni Piano, e forse potrebbe aver successo la dimostrazione della modalità con quale, la forza delle immagini, riesce sempre ad evocare fatti e storie della nostra bellissima isola dell’Asinara.

Potenza evocativa delle immagini.

Potenza evocativa delle immagini.

Riferimenti:
1) Istituto Comprensivo n° 1 di Porto Torres (scuola primaria e secondaria di primo grado) – Istituto Comprensivo n° 2 di Porto Torres (scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado) – Istituto d’Istruzione superiore “M. Paglietti” (scuola secondaria di secondo grado) – Istituto Tecnico TTL – Istituto Professionale SMAT – Liceo Scientifico, Linguistico, Sportivo “Europa Unita”

Link citati:
Settimanale Espresso  “Gerarchia penitenziaria”  articolo di  Lirio Abbate https://espresso.repubblica.it/plus/articoli/2019/08/22/news/carcere-potere-mafia-1.337957

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Il precedente articolo di cui il presente è parte integrante: Il Transito belvedere

carlo hendel

Carlo nasce nei primi mesi del '50 e trascorre la sua infanzia a Roma, nella zona centrale della capitale, a “due minuti a piedi” da Piazza di Spagna. Di padre polacco e con la mamma abruzzese, Carlo aveva un fratello in Polonia, ed ha tre sorelle: una in Polonia e due in Italia. All'età di 22 anni si trasferisce nel paesino abruzzese di Barete e vi svolge attività libero-professionale per circa dieci anni. Consegue la nomina, da parte del Ministero di Grazia e Giustizia, alla Direzione Agrozootecnica della Casa di Reclusione dell'Asinara, evento che lo farà incontrare con l'isola e con la Sardegna. Vive e lavora con passione all’Asinara, per circa cinque anni, dal 1982. Alla vigilia della trasformazione dell’isola in Parco, partecipa come coautore, al volume “ASINARA” Storia, natura, mare e tutela dell’ambiente (Delfino Editore 1993) curato da A. Cossu, V. Gazale, X. Monbaillu e A. Torre, per la parte riguardante la Storia agricola e l’ordinamento carcerario. ------------------------------------------------------------------------------ L'Asinara non sarà più dimenticata. Blogger dal 2000 sotto vari pseudonimi, e con svariati blog. Nel 2007 pubblica una nota "L'Asinara - La storia scritta dai vincitori" con la quale, per la prima volta, rivendica per l'isola il suo "diritto inalienabile alla storia". Nel 2016 pubblica questo portale personale investendo notevoli energie e risorse solo con l'intento divulgativo e per testimoniare la storia dell'isola senza preconcetti o preferenze, per tutti i periodi e le vicissitudini attraversati dall'Asinara. Prosegue la sua attività lavorativa prima a Castelfranco Emilia (MO), poi a Roma (D.A.P.) ed infine a Viterbo ove maturerà il tempo della agognata quiescenza. All'età di 59 anni la sua vita cambia in modo importante, ma non è questa la sede propria di siffatta narrazione. -------------------------------------------------------------------------------------- Si definisce, da sempre, un ecoagricoltore e ancora oggi, produce olio biologico extravergine di oliva per autoconsumo, coltiva il suo orto con metodi esclusivamente naturali ed alleva animali da cortile. Carlo spesso ama dichiarare di aver avuto cinque o sei vite, ora ha due splendidi nipotini ed un diavolo per capello! Il resto lo lasciamo ai posteri......