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Barbarossa

Navigando da Stintino, nella notte priva di luna, dopo aver passato l’isola piana, si giunge rapidamente all’approdo di Fornelli.
Davanti agli occhi si staglia la sagoma, neppure troppo incombente, di Punta Maestra Fornelli e sulla sommità un pugno di sassi che, nella penombra, se non si osservano bene, potrebbero essere scambiati per un muraglione.
ph Marta Diana 2016-17
Non è un muraglione è “Il Castellaccio”.
La storia di questo antico maniero si perde nella notte dei tempi, come l’origine dell’Asinello bianco, entrambe le origini si confondono nell’ampia e nebbiosa palude dei ricordi e della leggende.
Oggi si narra di un corsaro, Kabir El Din come viene definito dai testi occidentali, oppure un esperto ammiraglio ottomano e stratega sopraffino come veniva osannato a Costantinopoli.

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Khayr al-Dīn ritratto XVI secolo

In ogni storia, anche quelle più grandi, dove la “S” non solo è maiuscola e si scrive in neretto, ma ha tratti autorevoli e blasonati, una spolveratina di leggenda conferisce páthos alle vicende documentate ……

In questo sito, ormai da anni il povero pellegrino viaggia di continuo sull’isola dell’Asinara, per conoscerla meglio ogni giorno di più e come ogni pellegrino che si rispetti, ha prefissato alcune tappe.

L’avventura è iniziata ammainando le vele, accompagnati dal rumore del vento e dello scorrere della catena dell’ancora del nostro bellissimo veliero “Fantasia”  al largo del porticciolo di levante, a ridosso del gigantesco scoglio di Punta Scorno (il faro ancora non è stato costruito).

Si,  direte voi, ma quella oggi è “zona A” cioè zona interdetta ad ogni attività che non sia di cura del territorio, di trattamento gestionale e/o con  scopi scientifici o divulgativi…. ma io rispondo prontamente che questo è solo uno dei privilegi che la mente di ognuno di noi possiede, una dote che ci consente di viaggiare privi di limiti e senza peso…… quale legge e chi mai potrebbe interdire il libero viaggio della fantasia?

La vista dal castellaccio di Fornelli

La vista dal Castellaccio di Fornelli

Per illustrare l’immagine che Fracesca Soddu ha scattato dal Castellaccio, è stata rielaborata (orientandola lungo l’asse Sud-Nord, analogamente alla fotografia) una carta di GoogleMaps aggiungendovi le “linee di visuali ottenibili” così da poterle confrontare con l’immagine precedente, la minima differenza dipende dalla posizione ruotata dell’obiettivo che ha scattato la fotografia rispetto all’asse predetto.

posizione

Il pellegrino moderno, in questi ultimi anni ha “trascorso” qualche racconto in quasi tutti gli ambiti dell’isola, alle volte scoprendone pregi inauditi, altre volte percorrendo, in modo originale, strade e sentieri già battuti e non per questo  resi meno affascinanti.
Oggi siamo giunti nell’ampio scenario che si affaccia dal “balcone naturale” sulla maestosa vista del Golfo dell’Asinara, laddove allungando il collo è possibile scorgere addirittura il giaciglio del  figlio di Iperione e di Teia …
… ma, ormai Hḗlios dorme coperto da una coltre di nuvole.
Nella panoramica vista, fissata dalla foto di Francesca, si scorge in basso a sinistra la Punta denominata Barbarossa laddove il corsaro attraccava la sua flotta, ma tralasciamo la descrizione dei luoghi …

e il nostro VIAGGIO NOTTURNO CONTINUA…

Sbarchiamo sul piccolo molo di Fornelli e la nostra attenzione è attratta da un affusto di cannone che giace sul bagnasciuga sotto i tamerici dalla parte sinistra del molo.

E’ circondato da vari giri di una lunga catena in ferro, che raggiunge l’acqua e termina venti metri più al largo, sulla prua di una barca di foggia strana…..una galea corsara!

Mentre camminiamo, in leggera salita, per raggiungere la base della montagna chiamata Punta Maestra Fornelli, scrutiamo davanti a noi con un rudimentale cannocchiale. Osserviamo il fianco del massiccio montuoso e facilmente rileviamo un forte bagliore che si riverbera, a tratti, sulla roccia a lato del Castellaccio. Se si mette a fuoco lo strumento ottico ci si avvede della presenza di un grande fuoco, e via via che l’occhio si assuefà al buio, si scorgono  figure umane coperte di ampi mantelli che girano attorno al grande falò, altre sedute in cerchio si riscaldano,  sembrano  chiacchierare, bevendo e ridendo.

Ops! Abbiamo dimenticato di indicare la data in cui si è intrapresa questa gita, si tratta dell’anno domini 1.533 e, seduto attorno al fuoco, insieme ai corsari c’è addirittura Kabir El Din.
La storia infatti è quella di Barbarossa, del Pirata Barbarossa.
Quello che sto raccontando è uno di quei rari momenti in cui il pirata ed i suoi soldati si ritiravano sull’isola dell’Asinara per riprendere le forze, dopo i lunghi mesi trascorsi in mare per razziare e rubare.
Barbarossa e le sue veloci imbarcazioni, all’Asinara erano protette dai soldati che vigilavano dai camminamenti, oggi parzialmente crollati, sugli spalti del Castello (che non aveva ancora assunto il nome de “il Castellaccio”).
Guardate con attenzione la foto della bravissima Francesca Soddu che inquadra la parte frontale del Castello, osservate l’immagine con attenzione e vedrete nettamente emergere dal buio, oltre l’architrave in granito, due pupille di fuoco che scrutano l’orizzonte …

Asinara "il Castellaccio" 2020

Asinara “il Castellaccio”

E’ necessario riferire anche alcune notizie storiche relative alla costruzione del Castellaccio pur se lacunose.
Alcuni studiosi attribuiscono l’edificazione della fortezza ai marchesi Malaspina, signori di Osilo e di Bosa, per via di un’antica battaglia navale svoltasi nel 1016 in prossimità dell’isola che vide protagonista un Malaspina, Alberto, figlio di Oberto Opizzo.
Altri la attribuiscono invece ai Doria, signori di Genova nel 1200 molto preoccupati delle incursioni barbaresche e delle loro scorrerie che tanti danni procuravano alle guarnigioni e alle popolazioni locali.

Una terza teoria, colloca l’edificazione del Castellaccio al XVI secolo ed alla figura del corsaro Barbarossa (Khayr al-Din Barbarossa), infatti, in un documento del 1720 il sito viene indicato con il nome “Castello di Barbarossa”.

Il connubio stretto, pressochè indistricabile, tra la storia reale e quella derivata dalla fantasia, ha prodotto in quel periodo, una fioritura di denominazioni toponomastiche che abbiamo solo enunciato.
Quel che si può affermare, con qualche fondamento, è che la conformazione costiera della zona denominata Punta Barbarossa appare ideale a costituire un riparo vigilato e protetto dai venti dominanti, alle navi corsare e, con sufficiente certezza, furono proprio queste le motivazioni poste alla base di quella denominazione geografica.

La COLLOCAZIONE del FUOCO nell’EVOLUZIONE

Nella storia evolutiva dell’homo sapiens, le chiacchiere serali e notturne intorno al fuoco sono state importantissime, anzi, fondamentali. Lo ha affermato una ricerca di Polly W. Wiessner, dell’Università dello Utah a Salt Lake City, pubblicata sui “Proceedings of the National Academy of Sciences”.
Secondo lo studio, che si è basato anche sull’osservazione diretta da parte della scienziata delle abitudini delle tribù San, o dei Boscimani del Kalahari, che ancora vivono di caccia e raccolta, è stato grazie alle conversazioni notturne che gli esseri umani hanno sviluppato le interazioni sociali, non praticabili durante le attività quotidiane di caccia e raccolta.
Il controllo definitivo del fuoco è avvenuto circa 400.000 anni fa, nello stesso momento in cui l’uomo ha sviluppato il linguaggio, le credenze religiose e la trasmissione di conoscenze e valori culturali.
Secondo la ricerca, è stato proprio grazie a questo “
tempo in più” destinato alle interazioni sociali e concesso dalla luce del fuoco, che l’essere umano ha iniziato la sua conoscenza e lo sviluppo interiore.

La posizione del Castello probabilmente, come detto, costruito dai genovesi nel 1200, a quota 212 metri sul livello del mare, consentiva, ai soldati delle guarnigioni, di vigilare sul corridoio di Fornelli e di accorgersi con quattro o cinque ore di anticipo, dell’arrivo delle navi di Andrea Doria, acerrimo nemico.

Quel rudere sul monte, oggi è pacificamente chiamato il “Castellaccio” e si narra che a volte “il Barbarossa” l’antico signore corsaro dei mari, scenda a valle confondendosi fra la gente, alla ricerca della sua amata, rapita dagli invasori e mai più ritrovata.
Ha avuto, come molti toponimi una sua evoluzione legata alle incerte origini, Castello dei Malaspina, Castello dei Doria…. certo è che facesse organicamente parte del sistema di segnalazioni torriere di cui abbiamo già riferito in altro articolo di questo sito.

Ma la storia del corsaro Barbarossa all’Asinara è leggenda o tragica realtà?
E’ sogno o verità?
Abbiamo vissuto realmente i fatti narrati o avremmo desiderato viverli?

Barbarossa Hayreddin Pasha

Barbarossa Hayreddin Pasha

I geografi hanno dedicato a Khayr al-Dīn, detto il Barbarossa, il sito più orientale delle Bocche di Fornelli e indicato, nel Castellaccio dell’Asinara, la base delle scorribande di questo corsaro nel Mare delle Baleari, di Sardegna e nel Tirreno.

Colui che noi oggi consideriamo un bieco pirata, era invece, nel mondo saraceno, ritenuto un grande ammiraglio e un abile condottiero, tanto che il Sultano di Costantinopoli Maometto V, nel 1910, gli dedicò addirittura una corazzata.

Varata nel Mare del Nord nel 1891, con il nome originario di “Principe Federico Guglielmo”, fu ceduta, appunto nel 1910, dalla marina tedesca a quella ottomana, nella quale assunse il nome di “Barbaros Hayreddin”.

La Corazzata Barbaros Hayreddin

La Corazzata Barbaros Hayreddin

La nave partecipò alla Guerra Balcanica del 1912 e, dal 1914, al primo conflitto mondiale. In azione nei Dardanelli nell’estate del 1915, la Barbarossa fu colpita da un siluro lanciato da un sommergibile inglese, che portò alla sua perdita.

(Agostino Schiaffino)

La leggenda del servo pastore.

Gli anziani narrano …
… che subito dopo la seconda guerra mondiale, diciamo nel 1930, anno più, anno meno, un ergastolano sardo che, in abiti civili, esercitava la nobile e povera arte del “servo pastore“, abbia deciso di fuggire dai “cameroni” di Fornelli (la struttura verrà ristrutturata durante la Direzione del Direttore Donato Carretta nel 1933).
Dato l’allarme e vista la posizione del luogo dove il detenuto dormiva, la Direzione decise di predisporre un cordone di vigilanza armata, a vista, lungo il tratto di costa davanti l’isola Piana, per impedire al fuggiasco ogni via di fuga, sopratutto quelle più facilmente percorribili.
Passarono i giorni, ma del servo pastore non si aveva nessuna notizia.
Il servo pastore aveva accuratamente preparato la sua fuga ed aveva saputo che sul Castellaccio si doveva cercare un pertugio, scavato dagli schiavi portati sull’isola dai pirati del Barbarossa e predisposto per sottrarsi dall’eventuale assedio.
Passarono i giorni, ma il servo pastore sembrava essersi volatilizzato.
Il pozzo sul Castellaccio era accuratamente nascosto da un masso che impediva l’ingresso a chiunque non ne conoscesse l’esistenza e l’esatta ubicazione, era scavato nel granito e raggiungeva la quota sotterranea necessaria a sottopassare l’isola Piana per arrivare direttamente sulla costa sarda, sbucando all’interno della Torre della Pelosa.
Appena prima dell’uscita nella Torre, gli schiavi avevano scavato un grande deposito in cui il Pirata Barbarossa aveva nascosto i forzieri pieni d’oro e di monete, tutte le ricchezze sottratte ai galeoni dopo l’arrembaggio e l’uccisione degli equipaggi.

Gli anziani ricordano che il servo pastore non fu mai ritrovato.

Gli anziani raccontano che in un piccolo paese della Barbagia un servo pastore, tornato dalla Germania, mostrò di avere avuto una eredità, aprì una grande azienda in cui gli operai furono regolarmente pagati per il loro lavoro in modo che nessuno potesse permettersi di rubare loro l’unica pecora l’anno che gli sarebbe spettata.

Canto del servo pastore – Fabrizio De Andrè

 

Un ringraziamento particolare a

Francesca Soddu per le immagini sempre suggestive del Castellaccio,

a Marta Diana per i preziosissimi riferimenti  archeologici della sua tesi,

ad Agostino Schiaffino per il contributo,

agli anziani per le leggende tramandate

e al grandissimo poeta Fabrizio De Andrè

che ha cantato,

come solo lui sapeva fare,

il suo amore e l’attaccamento

per la terra di Sardegna.

carlo hendel

Carlo nasce nei primi mesi del '50 e trascorre la sua infanzia a Roma, nella zona centrale della capitale, a “due minuti a piedi” da Piazza di Spagna. Di padre polacco e con la mamma abruzzese, Carlo aveva un fratello in Polonia, ed ha tre sorelle: una in Polonia e due in Italia. All'età di 22 anni si trasferisce nel paesino abruzzese di Barete e vi svolge attività libero-professionale per circa dieci anni. Consegue la nomina, da parte del Ministero di Grazia e Giustizia, alla Direzione Agrozootecnica della Casa di Reclusione dell'Asinara, evento che lo farà incontrare con l'isola e con la Sardegna. Vive e lavora con passione all’Asinara, per circa cinque anni, dal 1982. Alla vigilia della trasformazione dell’isola in Parco, partecipa come coautore, al volume “ASINARA” Storia, natura, mare e tutela dell’ambiente (Delfino Editore 1993) curato da A. Cossu, V. Gazale, X. Monbaillu e A. Torre, per la parte riguardante la Storia agricola e l’ordinamento carcerario. ------------------------------------------------------------------------------ L'Asinara non sarà più dimenticata. Blogger dal 2000 sotto vari pseudonimi, e con svariati blog. Nel 2007 pubblica una nota "L'Asinara - La storia scritta dai vincitori" con la quale, per la prima volta, rivendica per l'isola il suo "diritto inalienabile alla storia". Nel 2016 pubblica questo portale personale investendo notevoli energie e risorse solo con l'intento divulgativo e per testimoniare la storia dell'isola senza preconcetti o preferenze, per tutti i periodi e le vicissitudini attraversati dall'Asinara. Prosegue la sua attività lavorativa prima a Castelfranco Emilia (MO), poi a Roma (D.A.P.) ed infine a Viterbo ove maturerà il tempo della agognata quiescenza. All'età di 59 anni la sua vita cambia in modo importante, ma non è questa la sede propria di siffatta narrazione. -------------------------------------------------------------------------------------- Si definisce, da sempre, un ecoagricoltore e ancora oggi, produce olio biologico extravergine di oliva per autoconsumo, coltiva il suo orto con metodi esclusivamente naturali ed alleva animali da cortile. Carlo spesso ama dichiarare di aver avuto cinque o sei vite, ora ha due splendidi nipotini ed un diavolo per capello! Il resto lo lasciamo ai posteri......

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