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La stele di Axum torna in Etiopia.
La stele di Axum torna in Etiopia.

Asinara un posto nella storia etiope

Un altro capitolo importante nella storia dell’isola dell’Asinara è quello che ha riguardato l’Etiopia, oggi Repubblica federale democratica dell’Etiopia, per i fatti accaduti e per gli strascichi inerenti il trattamento di queste persone cui ho già fatto riferimento, a grandi tratti, nel precedente articolo del 13 agosto 2018, suddiviso in tre parti, con il titolo “Diario di un Maestro Rurale”.
Ricordo, a chi dovesse averlo dimenticato, che Salvatore C. era il vero nome del “Maestro rurale“, che proveniva da Pozzomaggiore e che  fu assunto per prestare servizio nella Casa di Reclusione nella Scuola “Stefano Curti” di Cala Reale.
Il Maestro rurale Salvatore, nel suo diario, accenna anche all’intenzione di svolgere gratuitamente lezioni anche per gli etiopi, lezioni non consentite dal regime.

Il periodo è quello in cui all’Italia ed il suo regime dittatoriale venne solleticato, al seguito di altre nazioni europee come la Francia e l’Inghilterra, a ritagliarsi, nel Corno d’africa un improbabile futuro coloniale.

Principessa Woizero r.g. chendel 2019

Principessa Woizero r.g. chendel 2019

Qualcuno ricorderà, forse, una importante figura del popolo etiope, la Principessa etiope Woizero Romanework  che vivrà la deportazione, nel febbraio dell’anno 1937 e l’esilio all’Asinara e che morirà  a Torino 31enne il 14 ottobre 1940.
Sulla storia leggendaria della Principessa gli autori si sono sbizzarriti con definizioni singolari come “Principessa del melograno d’oro” oppure la “Principessa dagli occhi color pervinca”.

LE MIRE ESPANSIONISTICHE DELL’ITALIA MONARCHICO-FASCISTA

Il Regno d’Italia già nel 1896, tentò l’occupazione dell’Etiopia, ma la battaglia di Adua fu clamorosamente fatale per il Regio esercito.

Prima di arrivare ad analizzare, riassumendola, la Guerra di Etiopia del 1935 (talvolta nota anche come guerra d’Abissinia o campagna d’Etiopia) per riferire le vicende che hanno riguardato l’Asinara, dobbiamo operare una brevissima introduzione, ricordando, sia pure per sommi capi, lo scenario storico.

In passato, le più grandi potenze europee si vantarono di avere numerose colonie: alla fine dell’Ottocento, l’Impero Britannico era vastissimo; non da meno fu quello francese, mentre Germania e Belgio ebbero un numero inferiore di colonie, rispetto alle altre due nazioni europee, ma in numero comunque consistente.

Alla fine dell’Ottocento l’italico Regno “possedeva” solo due colonie in Africa orientale; l’Eritrea e gran parte della Somalia; nel 1902, ottennero una piccola concessione in Cina a Tientsin e, per ampliare il colonialismo italiano, bisognerà attendere il 1912, anno in cui avvenne la conquista della Libia. la storia di quei tempi correva veloce sul filo delle baionette….

Il 2 ottobre 1935 ci fu la famosa  “chiamata alle armi” ed il 3 ottobre 1935 le truppe italiane presenti in Eritrea diedero inizio all’invasione dell’Etiopia. Fu una guerra coloniale come mai si era vista prima, per la ricchezza dei mezzi, sia in termini numerici, che quantitativi.        Oltre ad essere una guerra coloniale, la spedizione ebbe anche un altro importante significato, quello della riscossione del consenso interno. Con la guerra d’Etiopia, gli storici dissero che, in quel momento “tutta l’Italia fu fascista” e il regime raggiunse il consenso massimo.

Il 18 dicembre 1935 venne indetta la giornata della fede (o dell’oro), giorno in cui tutti vennero invitati a donare la propria fede e altri ori personali

 Il 5 maggio 1936, gli italiani occuparono Addis Abeba ponendo fine alla Guerra di Etiopia.

La testata del Mattino di Napoli

La testata del Mattino di Napoli

1937  IL MASSACRO di Debre Libanos – Etiopia

Duecentonovantasette monaci e centoventinove diaconi, uccisi a colpi di mitragliatrice e di fucile.

Furono costretti a salire, uno a uno, sui camion militari, portati in una zona impervia e solitaria perché la popolazione sapesse e temesse, ma era meglio che non vedesse con i propri occhi tutto quel sangue e quelle urla, chissà come poteva reagire.

Immagine di Repertorio della strage

Immagine di Repertorio della strage

Gli storici faranno fatica a trovare nella storia moderna una strage di religiosi cristiani paragonabile, per numeri e modalità, a quella che si consumò nei pressi del monastero copto-ortodosso di Debre Libanos, in Etiopia nel maggio del 1937; forse mai negli ultimi secoli così tanti monaci e diaconi (426) furono giustiziati tutti insieme, nello spazio di poche ore, senza alcuna pietà. Senza contare le vittime “civili”, ovvero pellegrini e fedeli comuni che in quei giorni gravitavano attorno al monastero e anch’essi passati per le armi, un numero ancora imprecisato, secondo alcune fonti circa un migliaio. Fu il regime fascista, l’esercito italiano nella persona del generale Pietro Maletti a compiere il massacro: ordine del vicerè Rodolfo Graziani, una rappresaglia voluta come risposta all’attentato da lui subito tre mesi prima e rivendicata con orgoglio: «Non è millanteria la mia quella di rivendicare la completa responsabilità della tremenda lezione data al clero intero dell’Etiopia […]. Ma è semmai titolo di giusto orgoglio per me aver avuto la forza d’animo di applicare un provvedimento che fece tremare le viscere di tutto il clero, dall’Abuna all’ultimo prete o monaco, che da quel momento capirono di dover desistere dal loro atteggiamento di ostilità a nostro riguardo».

Lucio Brunelli
(dall’Avvenire del 16 ottobre 2019)

Una pagina nera della storia patria e non fu unica! Il mio riferimento è alla legge sul madamato [1] o all’utilizzo dei gas letali, in particolare l’iprite [2] nella lotta contro le popolazioni locali.

La politica di segregazione razziale instaurata dal colonialismo italiano in Africa, in Somalia, in Eritrea e in Libia aveva trovato un limite nella pratica del cosiddetto madamato per cui il bianco teneva presso di sé, per il periodo in cui permaneva nella colonia, una convivente-serva africana, che utilizzava sia quale domestica che sessualmente. Il termine “madama” era, naturalmente, usato in senso dispregiativo in quanto con esso, sia in Italia che in Francia, si indicava la tenutaria di un bordello.

Ma questo autore si è posto un limite che è quello geografico che contorna le coste dell’isola dell’Asinara e intende non valicarlo, sia pure non potendo non accennare agli odiosi e gravi problemi complessivi della vicenda storica.

Immagine di repertorio

Immagine di repertorio

L’attentato contro il viceré Rodolfo Graziani
avvenne il 19 febbraio 1937 ed è l’atto che segnerà la svolta del regime ed il coinvolgimento dell’Asinara nella storia del periodo. L’attentato ebbe luogo nel febbraio del 1937 ad Addis Abeba e, come risposta immediata, avviò la deportazione in Italia di circa 500 Etiopi [3]  ritenuti dalle autorità fasciste ideatori dell’attentato contro Graziani con la collaborazione dei servizi segreti inglesi ed i sostenitori dell’imperatore Hailè Sellasiè rifugiatosi a Londra.

Haile Selassie Imperatore dell'impero Etiope dal '30 al '74

Haile Selassie Imperatore Etiope dal ’30 al ’74

Altri Etiopi, per la loro posizione politica e sociale meno rilevante, erano stati invece destinati nei campi di concentramento di Danane, in Somalia e sull’isola di Nocra in Eritrea.
Essere deportati in Italia era, per taluni aspetti, più vantaggioso che essere destinati in Somalia o in Eritrea dove le condizioni di vita e di trattamento erano più critiche.

Luogo di confino del regime fascista (antifascisti e libici).

L’Asinara era, nel frattempo, divenuta anche uno dei luoghi dove venivano confinati gli antifascisti italiani, considerati più pericolosi, di conseguenza la disciplina fu molto severa.

Nel periodo fascista esistevano almeno quattro diversi organi di vigilanza, che non vanno confusi fra loro: quella militare (SIM); quella di partito, formata dagli Uffici Politici Investigativi, attivi presso le legioni della MVSN (UPI); la rete di Uffici Politici delle questure che diede luogo nel 1926 alla Divisione di Polizia Politica vera e propria presso la Direzione Generale di Pubblica Sicurezza; infine la misteriosa OVRA, capeggiata dal capo della PS, Arturo Bocchini, diretta da Guido Leto, suddivisa in dieci zone interprovinciali e specializzata nella repressione dei crimini antifascisti, cfr. G. Fabre, Le polizie del fascismo, in «Quaderni di Storia», 1990, n. 31, pp. 137-176.
Con questi istituti di controllo del dissenso, il discrimine tra reati comuni e politici quasi si annullò, lo stesso concetto di “sovversivo” ne risultò dilatato per questa modifica concettuale probabilmente  non furono molti i detenuti politici all’Asinara
Uno per tutti il socialista contadino-operaio Costantino Gargaro accusato di aver ideato e partecipato in Francavilla Fontana all’uccisione del diciassettenne Elio Galiano.

Costantino subisce la condanna a 18 anni di carcere. La sua tenacia indomabile, proiettata totalmente a dimostrare la propria innocenza e far emergere tutte le manovre poste in essere, soprattutto gli intrighi attuati per “pagare” i testimoni falsi, per incolparlo è, per il regime fascista, un pericolo che occorre eliminare.
Nel giugno 1932 viene disposta la sua detenzione in un luogo irraggiungibile per la moglie e per i parenti: l’isola dell’Asinara, uno stabilimento penale durissimo.

La traduzione all’Asinara è la condanna all’emarginazione definitiva di Costantino Gargaro, quel trasferimento è la sua condanna a morte. Costantino Gargaro prosegue la sua lotta per non soccombere, cerca di aggrapparsi ad ogni speranza per uscirne vivo, ma non tornerà mai più. Neppure i suoi resti mortali ritorneranno a casa né durante la dittatura fascista, né dopo con l’avvento della democrazia.
Un altro antifascista fu Guglielmo Tocchetti, manovale disoccupato, di stanza nel dormitorio di Primavalle (Roma), sorpreso sull’autobus 236 in discorsi antifascisti al cospetto di un caposettore del fascio locale. Visibilmente alticcio, l’uomo confessò di appartenere ad una fantomatica associazione sovversiva che contava 4500 iscritti a Trastevere, 7800 a San Lorenzo e altri 7000 a Primavalle. Con un passato da delinquente comune, già assegnato alla colonia agricola dell’Asinara, Tocchetti fu inviato al confino. (4)

Gli antifascisti detenuti all’Asinara sono stati in numero esiguo, evidentemente il regime utilizzava altre prigioni (Ventotene etc).
Gianfranco Massidda conferma che vi era una gruppo sparuto, di una decina di persone chiamate, degli abitanti di Cala d’Oliva, “i politici” che facevano capo alla Diramazione Centrale di Cala d’Oliva e che uscivano ogni giorno per il lavoro di squadra, accompagnati da una guardia, si recavano nella macchia posta alle spalle della Diramazione, in cui procuravano legna da ardere per le stufette delle famiglie residenti.
Uno di queste persone, ricorda Gianfranco, era di Porto Torres e la sua famiglia aveva un forno per la produzione di pane e sopratutto dolci del tipo utilizzato dai pescatori a mare….

A partire dal 1930 vengono inviati al confino all’Asinara notabili senussiti di rango elevato, provenienti dalla Libia, colpevoli di opporsi all’occupazione italiana e ad iniziare dal marzo 1937 vengono internati sull’isola diverse centinaia di etiopi, membri dell’elite del paese, deportati dopo l’attentato contro il Viceré Rodolfo Graziani adAddis Abeba.

I numeri degli etiopi deportati li precisa il sito www.campifascisti.it

Etiopi deportati: 284 persone di cui
                                   214 uomini
                                     43 donne
                                     27 bambini

nel 1938 gli uomini presenti diventeranno 141 e l’anno dopo 94.

Secondo i dati conservati negli archivi italiani, alla fine del 1937, ammontavano in tutto a 377 gli etiopi deportati in Italia (non solo all’Asinara) in seguito al fallito attentato a Graziani, un quarto dei quali costituito da donne e bambini. La deportazione è avvenuta utilizzando diverse navi. Il battello a vapore “Toscana” ha trasportato 197 persone, partendo il 7 marzo del 1937 e arrivando all’Asinara il 17 dello stesso mese, mentre il vapore “Sardegna” è partito da Massaua nei primi giorni dell’aprile del 1937 trasportando 87 etiopi.

La Principessa dagli occhi color pervinca.

Gli etiopi deportati arrivano all’Asinara per mare, partono nel mese febbraio  del 1937 [5]  transitando per il “Deposito centrale per le truppe coloniali” di Napoli, ubicato nel Castel dell’Ovo.
Per i deportati l’isola rappresenta soprattutto un campo di confino.
Qui vengono suddivisi in tre gruppi: “irrecuperabili”, “recuperabili” e “non pericolosi”. Le persone considerate “irrecuperabili” vengono trasferite a Longobucco dove saranno tenuti sotto stretta vigilanza e isolati dal resto della popolazione.

woziero e figli - 2016

LA PRICIPESSA ETIOPE

Benito Mussolini fece rapire la primogenita dell’imperatore etiopico Haile Selassie, Woizero Romanework Haileselassie poco dopo la conquista dell’Abissinia, e la fece immediatamente trasferire all’Asinara, insieme ad un folto gruppo di notabili etiopi e le concesse di soggiornare nelle casette di Cala Reale insieme con i suoi quattro figli.

Al suo fianco consentì che restassero anche le damigelle di corte e alcuni dignitari etiopi in esilio forzato. Quando nel febbraio del 1937 sbarcò all’Asinara Woizero Romanework aveva 28 anni e il fatto che la prigione non fosse assolutamente paragonabile a un lager, così come il particolare che le venissero garantiti un vitto e un alloggio decenti, non cambia di molto la sua storia, soprattutto nel suo epilogo ed in particolare per la morte del figlio più piccolo Gedeon, nato nel 1935.

La principessa del melograno d’oro (come era chiamata in patria) restò all’Asinara pochissimi mesi, fino al mese di maggio 1937, insieme ai suoi bambini, poi le condizioni di salute ne consigliarono il trasferimento per interessamento .

 

damigella etiopedignitario etiope

La principessa Woizero Romanework aveva sposato il maggiore generale Dejazmach Beyene Merid con cui ebbe quattro figli, due dei quali, Dejazmach Merid Beyene e Dejazmach Samson Beyene, sopravvissero fino all’età adulta.
Subirono l’esilio anche i due più piccoli (nella immagine sopra). Durante la detenzione il maschietto Gedeon morì di tifo e si dice[6] che venne cremato proprio a Cala Reale, ultima cremazione, in quella struttura che oggi vediamo, con l’aggiunta del campanile, trasformata in Chiesa nel 1950, ma che nacque con differenti funzioni. [7]

Dopo la morte del bimbo la principessa venne trasferita, prima a Roma nella Clinica italiana delle malattie tropicali, poi a Torino nel convento delle Suore Missionarie della Consolata nella Casa di S. Michele, in via Genova 8, dove si spense il 14 ottobre 1940, probabilmente per aver contratto la tubercolosi.

Dopo quattro anni anche il primogenito Ligg Chetacceu Bayané muore, probabilmente di tubercolosi il 22 febbraio 1944 e viene tumulato con lapide anonima vicino quella della madre.
In seguito, sulle loro tombe, furono apposte lapidi con scritte in lingua italiana ed etiope.

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L’amico Ivan Chelo il 10 dicembre 2019 si è recato a Torino, nel Cimitero monumentale di quella città e, dopo aver deposto un fiore sulla tomba della Principessa del melograno d’oro Sua Altezza Woizero Romanework, ha riportato alcune significative immagini del suo sepolcro e di quello del figlio.

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Nell’anno 2006 il principe Aklile Berhan Makonnen, nipote dell’Imperatore d’Etiopia Haile Selassie si è recato nel Cimiterio monumentale di Torino per rendere omaggio alla memoria della Principessa Woizero Romanework Haileselassie.

2006 - Il comunicato stampa del Comune di Torino sulla visita del Principe Aklile Berhan Makonnen Haile Selassie

2006 – Il comunicato stampa del Comune di Torino sulla visita del Principe.

In relazione all’episodio della visita del principe Aklile Berhan Makonnen al Cimitero di Torino, ci fu anche un’interrogazione parlamentare proposta  dall’On. Mauro Fabris in data 16/01/2007.

interrogazione m. fabris 2007

…………………….

 

LA VITA DEI DEPORTATI ETIOPI A CALA REALE

Le popolazioni deportate sia all’Asinara, che negli altri campi di prigionia, mal sopportavano le variazioni ambientali troppo lontane da quelle dei luoghi d’origine. Molti furono coloro che vennero colpiti dalla tubercolosi e morirono. Anche l’inedia e l’assenza di attività furono esiziali e in buona parte, all’origine dei disagi, che si sommava alla sofferenza fisica e psicologia derivante dalla lontananza dagli affetti familiari.   

“Il menù settimanale all’Asinara consisteva al mattino in caffè con zucchero e pane; a pranzo la prima portata variava dalla “pasta asciutta”» o con pasta con legumi, riso o minestrone; poi patate o legumi conditi con salsa, carne in umido o arrosto. A cena erano serviti quasi sempre minestrone, formaggi, pesce fresco o in scatola, accompagnati dalla frutta e la domenica dal tè. Al menù fisso esistevano in casi particolari delle varianti. Per i musulmani la carne veniva «fornita in piedi e la confezione del vitto veniva, a richiesta, affidata agli stessi confinati»[7].

Ai bambini veniva  «somministrato anche il latte e così pure alle donne gestanti e ad alcuni infermi bisognevoli di vitto speciale. Così pure, se del caso, venivano somministrate uova».

la vita degli esiliati etiopi - 1

 

Le giornate degli Etiopi nei luoghi di confino passavano monotone in ambienti che erano «angusti, oscuri e poco arieggiati»[8]. Alcuni abitavano in un’unica struttura con dormitori comuni, in altri casi presso piccoli alberghi o stanze di privati che non offrivano condizioni abitative tanto migliori. Il momento dei pasti era, quasi per tutti, comunitario e in alcuni centri di confino era servito in luoghi diversi dalle abitazioni in cui dimoravano.

 

Gianfranco Massidda (photo e.cossu 2016)

Gianfranco Massidda (ph. e.cossu 2016)

L’Amico personale e fonte inesauribile di conoscenza storica, il Sig. Gianfranco Massidda conferma le notizie ripescando tra i suoi vividi ricordi e le sempre presenti fotografie del padre e racconta ……«In realtà nel gruppo di abitazioni, destinate al ricovero degli etiopi non c’era molto altro da fare. Ricordo la Principessa Woizero Romanework allontanarsi passeggiando nei sentieri di Cala Reale, sempre accompagnata da una damigella e sotto l’occhio vigile, ma discreto, dei carabinieri.
In ogni caso, a lei come ad ogni etiope, non era concesso di avvicinarsi alle varie diramazioni della colonia penale.

La vita degli etiopi  trascorreva quindi nei pressi delle cosiddette pagode, come chiamavamo le loro casette lungo la strada di Cala Reale.
I bambini, nonostante avessero la possibilità di stare all’aria aperta nelle giornate di sole, facevano una vita non molto più elettrizzante.
Quando mio padre mi portava a Cala Reale”
– rivela infine Gianfranco – “ebbi occasione d’incontrare anche loro. Erano schivi e non parlavano l’italiano, ma prima di andare mi mettevo in tasca delle caramelle, e quando scorgevo i bambini, mi avvicinavo e glie le regalavo».

Ecco l’ubicazione attuale dei locali denominati “pagode”.
Sono tre fabbricati di un piano fuori terra di forma pressochè quadrata con tetto a padiglione e  due ingressi. Ogni “pagoda” è composta da quattro camere, cucina e bagno per complessivi mq 120,00 circa.
Nel fabbricato centrale (contrassegnato dalla freccia gialla) risiedeva la Principessa Woizero Romanework con i figli e le persone al suo diretto servizio, nelle due laterali risiedevano le persone del seguito.          pagode

Il RIENTRO IN PATRIA DEI DEPORTATI ETIOPI

Nel giugno del 1938  in Italia iniziò, dopo un esame caso per caso, il graduale rimpatrio degli etiopi deportati ad iniziare dalle donne e dai bambini.

Mussolini decise che gli etiopi, la cui presenza in patria non avrebbe posto problemi politici all’amministrazione coloniale italiana ad Addis Abeba, fossero rilasciati e rimpatriati, che altri fossero mandati a Obbia o Rocca Littoria, due campi in Somalia, e messi sotto il controllo della polizia, ed infine che gli etiopi detenuti dell’Asinara fossero spostati a Danane. Gli etiopi deportati a Tivoli, Mercogliano e Longobucco avrebbero invece dovuto restare in questi campi.

Sembra che nel giugno del 1938 alcuni dei detenuti dell’Asinara siano stati mandati in campi somali. La burocrazia e il passaggio delle carte rallentò tuttavia il rimpatrio degli etiopi. Solo tra la fine del 1938 e l’inizio del 1939 i primi etiopi fecero ritorno ad Addis Abeba, dove vissero confinati in case assegnate loro dalle autorità italiane, sotto il controllo della polizia, e sostenuti economicamente dall’amministrazione coloniale italiana

elab. gr. chendel 2019

elab. gr. chendel 2019

La vicenda della Principessa del melograno d’oro che ho raccontato si conclude mestamente con la planimetria del Cimitero monumentale di Torino in cui è indicato il luogo della la sua sepoltura e che conserva pietosamente, ancor oggi, le sue spoglie di esule, insieme a quelle del figlio.

La lapide originale sul loculo recava soltanto la scritta “A una mamma” oggi c’è una scritta in etiope  ed in italiano (foto di Ivan Chelo).

 

Riferimenti:

[1] Michele Strazza *Faccetta nera dell’Abissinia Madame e meticci dopo la conquista dell’Etiopia” Humanities anno 1 num. 2,  Giugno 2012 – Sul madamato e sul concetto di sfruttamento sessuale come parte dello sfrutta- mento coloniale cfr. anche Campassi Gabriella, Il madamato in Africa Orientale. Relazioni tra italiani e indigene come forma di aggressione coloniale, in “Miscellanea di storia delle esplorazioni”. XII, 1987, pp. 219-60

[2] Dalla frammentaria documentazione sopravvissuta, risulta che sia stato Graziani (il 12 ottobre 1935) il primo a chiedere l’autorizzazione ad usare tutti i mezzi (compresi gli aggressivi chimici) contro il nemico. Tale autorizzazione gli fu concessa da Mussolini il 27 ottobre;

[3] Beshah-Woured, Yeweinshet, 2010, testimonianza, Intervista condotta da Roman Herzog il 18 Aprile 2010 a Sara Gebruyesus Beshah-Woured Habtewold scomparsa nel dicembre del 2011;

[4]   cfr. G. Fabre, Le polizie del fascismo, in «Quaderni di Storia», 1990, n. 31, pp. 137-176

[5] Del Boca fornisce la cifra di 384 deportati – prefazione del libro Memorie di una prigioniera etiope di M. Nasibù;

[6]   La cremazione del piccolo figlio della Principessa Woizero fu l’ultima e rese evidente le enormi quantità di combustibile (legna) necessaria per incenerire le salme per cui dal Ministero della Sanità venne deciso l’inutilizzo della forno crematorio che, successivamente (1950 circa), fu trasformato, ma parleremo più approfonditamente di questo manufatto in specifici articoli, con l’ausilio di Leonardo Delogu;

[7]  Lista settimanale del vitto dei confinati etiopici. (Nuova Rivista Storica Genn.- Apr. 2000 Soc. Ed. D. Alighieri Perugia);

[8]  Nota del Mons. Barlassina al Ministro Africa Italiana, 29 agosto 1939. (Nuova Rivista Storica Genn.- Apr. 2000 Soc. Ed. D. Alighieri Perugia). E’ singolare questa definizione, se riferita all’isola dell’Asinara, in cui la luce e l’aria sono notoriamente caratteristiche peculiari (n.r).

 

carlo hendel

Carlo nasce nei primi mesi del '50 e trascorre la sua infanzia a Roma, nella zona centrale della capitale, a “due minuti a piedi” da Piazza di Spagna. Di padre polacco e con la mamma abruzzese, Carlo aveva un fratello in Polonia, ed ha tre sorelle: una in Polonia e due in Italia. All'età di 22 anni si trasferisce nel paesino abruzzese di Barete e vi svolge attività libero-professionale per circa dieci anni. Consegue la nomina, da parte del Ministero di Grazia e Giustizia, alla Direzione Agrozootecnica della Casa di Reclusione dell'Asinara, evento che lo farà incontrare con l'isola e con la Sardegna. Vive e lavora con passione all’Asinara, per circa cinque anni, dal 1982. Alla vigilia della trasformazione dell’isola in Parco, partecipa come coautore, al volume “ASINARA” Storia, natura, mare e tutela dell’ambiente (Delfino Editore 1993) curato da A. Cossu, V. Gazale, X. Monbaillu e A. Torre, per la parte riguardante la Storia agricola e l’ordinamento carcerario. ------------------------------------------------------------------------------ L'Asinara non sarà più dimenticata. Blogger dal 2000 sotto vari pseudonimi, e con svariati blog. Nel 2007 pubblica una nota "L'Asinara - La storia scritta dai vincitori" con la quale, per la prima volta, rivendica per l'isola il suo "diritto inalienabile alla storia". Nel 2016 pubblica questo portale personale investendo notevoli energie e risorse solo con l'intento divulgativo e per testimoniare la storia dell'isola senza preconcetti o preferenze, per tutti i periodi e le vicissitudini attraversati dall'Asinara. Prosegue la sua attività lavorativa prima a Castelfranco Emilia (MO), poi a Roma (D.A.P.) ed infine a Viterbo ove maturerà il tempo della agognata quiescenza. All'età di 59 anni la sua vita cambia in modo importante, ma non è questa la sede propria di siffatta narrazione. -------------------------------------------------------------------------------------- Si definisce, da sempre, un ecoagricoltore e ancora oggi, produce olio biologico extravergine di oliva per autoconsumo, coltiva il suo orto con metodi esclusivamente naturali ed alleva animali da cortile. Carlo spesso ama dichiarare di aver avuto cinque o sei vite, ora ha due splendidi nipotini ed un diavolo per capello! Il resto lo lasciamo ai posteri......

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